22 aprile, 2006

Editoriali a matita dall'estero


Forattini 22 Apr

Il Riformista 22 Apr

Al Senato Emilio Colombo preferisce Marini ad Andreotti
Conversazione con il senatore a vita di Tommaso Labate


Dalla presidenza della Camera alla formazione del governo, passando per Senato e Quirinale. L’agenda dell’Unione è diventata una questione di numeri. «L’Unione deve dimostrare che ha i numeri. Per questo, oggi, non c’è spazio per delle dissonanze». Emilio Colombo rompe il silenzio. Conversando con il Riformista si sbilancia sulle scelte che, da senatore a vita, lo attendono a breve. Una su tutte: l’elezione del successore di Marcello Pera. Franco Marini è il candidato dell’Unione, il centrodestra studia l’ipotesi Andreotti (che piace anche a Marco Follini), Mastella rumoreggia.
Messa così, sembrerebbe una questione tra democristiani. E Colombo, che della Dc è stato una delle colonne, parla senza esitazioni: il suo voto è per Marini. «Indubbiamente Marini può contare sulla maggioranza risicata del centrosinistra. Ma l’Unione deve rendersi conto che, per affrontare la situazione attuale, deve assolvere a un primo obbligo: quello di dimostrarsi una coalizione unita. Se il centrosinistra non sarà unito, non avrà alcuna possibilità di governare. E questo vale tanto per gli aspetti istituzionali, quindi le presidenze di Camera e Senato, quanto per il governo del paese». E l’ipotesi Andreotti ventilata da ampi settori dell’opposizione? «Non so se questo scenario può avere successo. Quello che mi preoccuperebbe, in questo caso, è che una candidatura rispettabile come quella di Andreotti possa diventare una candidatura di sfascio, di rottura, nell’ambito del centrosinistra».


Bertinotti gioca a fare il nuovo Pci relegando i Ds al ruolo che fu del Psi di Dino Cofrancesco

In politica simboli, culture e tradizioni hanno un valore che solo il materialismo volgare - da non confondersi col materialismo storico - è portato a minimizzare. Un partito antisistema può adottare una tattica prudente: ad esempio può chiedere una serie di riforme radicali ma non incompatibili con una democrazia “progressiva”; può rinunciare a propri rappresentanti nel governo, se parte di una coalizione vincente; può, nei confronti di avversari e di concorrenti, sfoderare uno stile di compostezza e persino di amabilità: se però la political culture rimane illiberale e antioccidentale, la sua pericolosità non ne viene affatto neutralizzata. Quel che conta, infatti, è che le idee, i costumi della mente e gli abiti del cuore di quel partito penetrino nelle istituzioni, nelle scuole, nei mass-media, diventino, per così dire, «senso comune», siano considerati normali. C’è chi sta con Hamas, che vuole cancellare Israele dalla geografia politica, e chi sta con Peres: opinioni le une, opinioni le altre; c’è chi vuole dedicare una piazza al povero Carlo Giuliani e chi è contrario: tot capita…

L'Italia dei critici che sbagliano vitamine di Filippo La Porta

Non so se l’Italia sia un paese stanco. Certo appare singolarmente opaco, un pianeta gassoso e ingannevole come Saturno, quasi impenetrabile anche per chi ci abita e non solo per gli osservatori stranieri. La nostra letteratura, ad esempio, fatica a descrivere il proprio paese, si finge mitteleuropea, si rifugia volentieri in scenari improbabili, americani o di pura fiction cinematografica. E’ una realtà che tende ad annebbiare e confondere perfino i suoi interpreti intellettualmente meglio attrezzati.

Libero 22 Apr

Giannelli 22 Apr

Il Manifesto 22 Apr

21 aprile, 2006

I sassi di Marassi 21 Apr

Dalla seduta di autocoscienzaa una nuova iniziativa politica

Il Riformista 22 Apr
Sì, Giampaolo Pansa ha visto giusto: girano tanti musi lunghi nell’Unione, e ancora di più tra i Ds. Ne abbiamo visti parecchi anche noi, ieri, nei corridoi della direzione diessina. Pansa non s’iscrive al partito dei Musi Lunghi. Non ci si è iscritto nemmeno Massimo D’Alema nel suo intervento, anche se molti si aspettavano una maggiore verve critica. Tanto più che proprio il presidente Ds, schiacciato com’è nell’asse Prodinotti, ne ha di motivi per essere musolunghista. Una mossa tattica? L’esigenza di non spiazzare Piero Fassino? Dietro ci può essere anche questo, ma c’è un ragionamento di prospettiva, non retrospettivo. Il centro-sinistra, insiste D’Alema, ha preso 19 milioni e rotti di voti, mai così tanti nella storia dell’Italia repubblicana. Poteva prenderne di più? Forse sì, ma molti hanno sottovalutato Berlusconi e ancora di più hanno sopravvalutato l’appeal del girotondismo. Soprattutto, non si rendono conto che il paese ha sempre avuto (sottolineo sempre) una maggioranza conservatrice. L’Italia in questo non è diversa dalla Francia dove la gauche ha vinto solo perché sono stati ibernati i voti dell’estrema destra di Le Pen.

Il problema, allora è che fare con questi 19 milioni e rotti di voti. Possono essere sprecati in logoranti schermaglie tra partiti e partitini della coalizione. O gettati al vento da un governo che non governa. Dunque, questa l’incitazione dalemiana, i Ds debbono concentrare i loro sforzi nel mettere a frutto il consenso ricevuto piuttosto che piangersi addosso. Saggio invito. Tuttavia, proprio per mettere meglio a frutto quel patrimonio senza dubbio notevole, il maggior partito dell’Unione deve discutere su se stesso, il proprio insediamento sociale e territoriale, la propria connotazione. E’ questo che stenta ad emergere. Un destino da gregario non può far piacere a nessuno. Portatori d’acqua dell’Ulivo che non è ancora una entità strutturata, tanto meno un partito: non può bastare, è logico, non solo a chi fa appello al vecchio (sempre vivo) orgoglio identitario, ma nemmeno a chi vuole aprire il silos e gettare le sementa nel terreno. In altre parole, il peso diessino nel governo (in termini di uomini, idee e programmi) sarà inevitabilmente minore se prima il partito non avrà ripreso in mano l’iniziativa. Qual è la sua prospettiva? Salire dal 17 al 20% alle prossime elezioni (ammesso che basti una buona seduta di autocoscienza e un recupero di forza organizzativa)? O diventare il motore di una nuova formazione politica, chiaramente riformista? E’ una domanda retorica perché i lettori conoscono già la nostra risposta. Non si tratta di sciogliersi, azzerando la propria storia. Ma di uscire da un atteggiamento difensivo e rilanciare la sfida alla Margherita (che si è illusa di avere un miglior risultato presentandosi da sola). E’ un gioco più grande di quello partitico, perché può mettere in moto un effetto a catena sull’intero sistema. A quel punto, val la pena dirsi diessino, non per nostalgia, ma per amore di un progetto politico nuovo.

La lezione del cavaliere sulle Camere

Emanuele Macaluso su Il Riformista del 22 Apr
l primo appuntamento politico - le presidenze delle Camere - l’Unione si disunisce. La leadership rivela un preoccupante deficit politico e le furbizie non pagano, o non pagano sempre. Che Bertinotti si candidasse alla presidenza della Camera era noto: si era fatto anche il vestito d’occasione, e, come ha dichiarato senza essere smentito, si fondava su quanto aveva detto Prodi. Poi sono venute fuori le candidature di Marini al Senato e di D’Alema alla Camera. Ma se Ds e Margherita fanno gruppi unici e alle porte c’è il partito democratico, i due candidati appartengono alla stessa formazione. O no? E’ difficile non ricordare che Berlusconi volle, nel 1994, presidente della Camera la leghista Irene Pivetti, e nel 2001 Pierferdinando Casini, leader di un partito con il 3,4%? Il Cavaliere avrebbe più duttilità politica dei vecchi del mestiere Ds e Margherita? I giornali ci informano che Prodi avrebbe completato la rosa candidando D’Alema al Quirinale. Non ci posso credere. Era stato lo stesso Massimo a dire che per la presidenza della Repubblica occorre ricercare un’intesa con l’opposizione. E Prodi si era associato alla proposta. Qualcuno ha già dimenticato come sono andate le elezioni?

Corriere.it 21 Apr ore 22

Repubblica.it 21 Apr

Libero 21 Apr

Giannelli 21 Apr

Forattini 21 Apr

Andrea's versione 21 Apr

Ieri ha chiamato anche me, driiin, pronto, “Sono l’Amor vostro”, chi? “Congratulazioni vivissime”, a che proposito? “Congratulazioni vivissime”, clic, e ha chiuso. Sta chiamando al telefono chiunque. L’ex ministro Ruggiero: “Complimenti sinceri”, perché? “Così”. Il deputato Schultz: “Mi felicito”. Si è rallegrato con Follini per la combattività dimostrata, con la procura di Milano per il puntiglio, ha riconosciuto il valore imprenditoriale di Carlo De Benedetti e l’ha voluto fare a tu per tu. Passa ore al telefono.
Ma Prodi? Niente, non lo chiama. E quello s’incazza. Forse lo chiamerà oggi, forse nemmeno oggi. Forse domani, forse nemmeno domani. C’è chi dice che fa bene, c’è chi dice che fa male. E’ una cosa poco inglese. No, è una cosa abbastanza inglese. E normale. E’ anormale. E’ democratico. Non è democratico. E’ accettabile. E’ inaccettabile. Anzi, è barbaro. Ma no che non è barbaro, il dibattito scoppietta, i giornali ci sguazzano, l’attesa di un trillo fa più rumore di Piedigrotta e quello poveretto si deprime: “Tutto questo è triste, molto triste”. Ecco. Dev’essere per tirarsi su che incontra così spesso quel mattacchione di Fassino.

Voto la fiducia per dare stabilità

Francesco Cossiga su Il Riformista 21 Apr
Alle ultime elezioni politiche non ho votato per nessuna delle liste dell’Unione: ho votato per la Casa delle libertà, pur sentendomi di sinistra.
Non ho votato per l’Unione perché, radicata come è la mia esperienza e cultura politica nella storia ideale e politica del XIX e del XX secolo ( i secoli del socialismo, del cattolicesimo liberale, della liberaldemocrazia, del riformismo cristiano-democratico, del tragico ma grandioso movimento comunista internazionale, del Manifesto dei Comunisti di Karl Marx e della Rerum Novarum di Papa Leone XIII, «una sciabolata di luce nel grigiore del reazionarismo politico e nel conservatorismo sociale della Chiesa!»), non comprendo quali siano le radici culturali e l’orizzonte politico della coalizione guidata dal leader cattolico Romano Prodi.

Il Riformista 21 Apr

Il Manifesto 21 Apr

20 aprile, 2006

Supergiornale del 20 Apr

La sindrome di Sansone -La farsa è finita
Giuseppe D'Avanzo su La Repubblica.
Anche la corte di cassazione, dopo il ministero dell'interno, conferma la vittoria del centrosinistra alla camera per 24.775 voti, correggendo di soli 469 consensi il risultato del Viminale (25.224). Tutto qui, dunque, una bagattella, una bazzecola che liquida definitivamente la menzogna politica, organizzata nella residenza privata del premier perdente, per disorientare il paese e lucrare un beneficio politico (la "grande coalizione") negato dalla logica maggioritaria. Se ne sono sentite di tutti i colori in questi nove giorni. Una squadra di commedianti si è alternata al proscenio del teatro della bufala. Con l'indecorosa complicità dei media televisivi privati e di stato, si è inventata ogni giorno una formula ballerina o un'acrobazia per avvelenare con confusi sospetti la coscienza e la percezione dell'opinione pubblica sulla nitidezza dell'esito elettorale.


L'Udc si sgancia: auguri a Prodi

Francesco Bei su La Repubblica
Forza Italia e la Lega non riconoscono la decisione della cassazione e quindi continuano a negare la vittoria dell'Unione, l'Udc al contrario fa immediatamente gli "auguri di buon lavoro" a Prodi, mentre An si limita a "prendere atto" della pronuncia della corte. La Casa delle libertà si presenta così, in ordine sparso, di fronte al pronunciamento della corte di cassazione sull'esito elettorale. Il più lesto a commentare è il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, che si smarca dalla linea di attacco frontale del Cavaliere e concede la vittoria all'avversario: "Rivolgo a Romano Prodi", dice Cesa in una dichiarazione concordata con Pier Ferdinando Casini, "il nostro augurio di buon lavoro nell'interesse dell'Italia. L'Udc svolgerà la sua battaglia per assicurare un'alternativa di governo ai tanti moderati che ci hanno dato la loro fiducia".



Bertinotti, Marini e D'Alema: i "rieccoli" sulla strada di Prodi.
Filippo Ceccarelli su La Repubblica

Ma che bella sorpresa, che fantastica novità: a pochi giorni dal voto Romano Prodi non ha nemmeno il tempo di guardarsi attorno e chi gli si mette di traverso? D'Alema, Marini e Bertinotti. È una combinazione che gela il sangue. E non solo perché si tratta precisamente degli stessi tre esponenti che nell'autunno del 1998 a vario titolo contribuirono alla caduta del suo primo governo. Ma soprattutto perché il loro duplicato agitarsi, le voglie, le richieste, le pretese, i rifiuti, le impuntature, insomma tutto a partire dai protagonisti conferma l'ormai definitiva deriva seriale della vita pubblica italiana. L'eterno ritorno del sempre uguale, avrebbe detto Forlani (con Nietzsche). Oppure il capriccioso ciclo della storia che secondo Marx si manifesta dapprima in forma di tragedia, e la seconda volta come farsa.

Il Manifesto 20 Apr

Libero 20 Apr

Giannelli 20 Apr

19 aprile, 2006

Berlusconi al Quirinale salva la Patria

Emanuele Macaluso su Il Riformista 20 Apr

Augusto Minzolini nel suo sempre informato retroscena (la “Stampa” di ieri) racconta come e perché il Cavaliere continua la sua offensiva post-elettorale sui “brogli”. Ce n’è per tutti, ma il succo dell’operazione è sintetizzato dal fedelissimo Sandro Bondi: «Prodi a Palazzo Chigi e Berlusconi al Quirinale. O viceversa».
Insomma il Cavaliere è pronto a sacrificarsi. Se il baratto si dovesse fare, infatti, i brogli non ci sarebbero più, e l’onore della patria sarebbe salvo. Il Cavaliere lamenta la premura dei giudici che vogliono dirci qual è il risultato finale e critica i “legionari azzurri”, i quali, nei seggi, non avrebbero fatto bene il loro dovere «dato che ci sono solo 5 mila schede contestate».
Ma c’è un bersaglio eccellente, ed è il ministro Pisanu, il quale per il Cavaliere è «ossessivamente democristiano». E questa volta lo dice col tono di chi considera quell’origine causa di infedeltà. Non verso le istituzioni, ma nei confronti del Cavaliere stesso. Non a caso l’accusa a Pisanu è ripresa con violenza da Bossi, il quale ormai non vede più nessun ruolo per la Lega se non quello ausiliario a Berlusconi. Il Cavaliere al Quirinale, non ci avevamo pensato: presidente di una maggioranza di coglioni.
(Grande Em.Ma.!)

Repubblica.it 19 Apr ore 199

Corriere.it 19 Apr ore 18

Bondi: Prodi al governo Berlusconi al Colle

Corriere.it 19 Apr
Intesa valida per due anni poi si torna a votare
Il coordinatore di Forza Italia a «Famiglia Cristiana»: si potrebbe studiare questo tipo di accordo, anche a ruoli rovesciati

Romano Prodi a Palazzo Chigi e Silvio Berlusconi al Quirinale. O viceversa. È questo l'accordo post elettorale che propone Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia. «Si potrebbe studiare un accordo istituzionale più alto assegnando la guida del governo a Prodi, mentre Berlusconi salirebbe al Quirinale, o viceversa», dice in un'intervista a «Famiglia Cristiana». «Nel caso di un accordo istituzionale si potrebbe prendere in esame l'ipotesi di un equilibrio istituzionale del paese - sostiene Bondi - partendo da quello delle Camere per arrivare a quello più alto tra chi dirige il governo e chi sale al Quirinale. Voglio dire che è inutile parlare di riappacificazione del paese se non si compiono atti politici e istituzionali coerenti». Quanto al governo, Bondi sostiene l'idea di un accordo tra Ds, Margherita e centrodestra: «si mettano d'accordo per governare il paese per due anni, per poi tornare a votare e riprendere la via dell'alternanza». Il programma? «L'aggancio della ripresa internazionale, la politica estera e il completamento delle riforme istituzionali».

(E' l'ammissione, un po' tardiva del fallimento del governo Berlusconi n.d.b.)

Il Foglio 18 Apr

Andrea's version 19 Apr

Ma certo che ha ragione Prodi, era del tutto evidente che gli inglesi del Financial Times ce l’avevano con l’Amor nostro e non con lui.
Sono fatti così gli inglesi, chi li conosce non sbaglia. Sempre ricercati, mai diretti, a parte quella volta a Dresda. Figli di un linguaggio diplomatico millenario che adora sopra tutto il gioco di rimbalzo, un ti dico e non ti dico che noi abbiamo poi tradotto alla carlona in quel parlare a nuora perché suocera intenda.
Sono così gli inglesi, non lasciatevi fuorviare dai corpo a corpo nella Camera dei Comuni. Capita. Ma non a caso hanno inventato loro il cricket, un gioco tipo i quattro cantoni dove, per tornare al punto in cui già sei, devi colpire una palla che rimbalza, schizza di qua, poi scappa di là, riverbera e rimpalla.
Sono così gli inglesi. Assoluti maestri del biliardo, e nel biliardo, professori di carambola, dove di nuovo non a caso si impatta una biglia con l’intenzione calcolata di colpire l’altra.
Sono così gli inglesi e c’è poco da fare. Volendo attaccare l’Amor nostro, è venuto loro naturale scrivere che Prodi ha degli alleati del cazzo con un programma di merda.

18 aprile, 2006

Prodi risponda a tono

Editoriale de Il Riformista del 18 Apr

Non ci sono mai piaciuti i soloni stranieri che hanno la ricetta “giusta” per l’Italia e ce la propongono a ogni pie’ sospinto. Questo giornale ha criticato la copertina dell’Economist che voleva «licenziare» Berlusconi non perché non ne condividesse l’obiettivo, ma perché ci disturbava lo stile. Oltre tutto, gli intelligentissimi analisti del più intelligente global magazine non avevano capito granché (come dimostra il risultato elettorale). Oggi possiamo dire altrettanto sull’articolo del Financial Times. Evocare l’Argentina è quanto di più vieto e qualunquista si possa immaginare. Certo poco degno dell’acume di Wolfgang Munchau, acutissimo commentatore dell’FT (che sia detto per inciso appartiene a Pearson, lo stesso editore dell’Economist). Ma se analizziamo la sostanza dell’articolo, su molti punti, purtroppo, ha ragione. Il primo è che questo risultato elettorale è il peggiore possibile. Senza una chiara maggioranza non si capisce come Prodi potrà governare. Un’osservazione lapalissiana, ma vera. Così come quella che oggi non c’è bisogno soltanto di una buona politica congiunturale per acchiappare, almeno per la coda, la ripresa tedesca, ma di profonde riforme strutturali che consentano di recuperare competitività. Munchau osserva che il problema di fondo per l’Italia è «di non essere pronta a una vita nell’Unione monetaria». E non si tratta solo dei parametri di Maastricht. Ma dei parametri dell’economia reale. Ancor più del debito pubblico, inquieta un costo del lavoro cresciuto del 20% rispetto alla Germania e che continua a salire del 3% l’anno. Il taglio del cuneo fiscale proposto da Prodi avrà l’effetto di una svalutazione, quindi potrà favorire il recupero dell’export verso Germania e Francia (dove vanno due terzi dei nostri prodotti). Ma il sollievo è momentaneo. Già dopo un anno tornerà ad emergere lo squilibrio di fondo che s’annida nel sistema produttivo e nei servizi.
Se la diagnosi è giusta, allora le riforme fondamentali riguardano il mercato del lavoro e le relazioni contrattuali. Guarda caso, proprio quelle sulle quali si è manifestata già una rigidità assoluta da parte di Rifondazione, della sinistra radicale e del segretario generale della Cgil. Tutti hanno messo un’ipoteca pesante sul futuro. L’articolo di Munchau ci rende un pessimo servizio quando prevede «che gli investitori istituzionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all’euro entro la durata del governo Prodi». O Munchau gufa o specula. Ma ha ragione nel puntare l’indice sulla debolezza di fondo di una maggioranza risicatissima, minata in più da una «deriva leftist», come l’ha chiamata Montezemolo. Dunque, smaltiti i nostri eroici furori nazionali, andiamo al sodo. L’Unione non potrà più coprirsi dietro a un dito, dicendo che è tutta colpa di Berlusconi. Il divario di competitività riguarda le imprese e il centrosinistra. Adesso, si gioca in casa e il gioco si fa subito duro. Prodi dovrebbe rispondere a tono. Come? In due modi: verso la sua coalizione, lanciando un messaggio di coerenza, quindi criticando le posizioni di Epifani, e opponendosi agli aut aut preventivi di Rifondazione contro la legge Biagi; verso l’esterno rivelando finalmente chi sarà Mr. Confidence, l’uomo che reggerà l’economia e darà fiducia ai mercati.

I giudizi sommari di Panebianco

Emanuele Macaluso su Il Riformista 14 Apr

Le analisi dei risultati elettorali sono cosa complessa, e le semplificazioni sono spesso forvianti. E mi stupisce che uno studioso serio e stimato come Angelo Panebianco, ieri sul Corriere, abbia ripreso giudizi sommari sulle elezioni. Non c’è dubbio che alcuni errori di Romano Prodi nella campagna elettorale (sul fisco soprattutto) e lo sbilanciamento dell’asse dell’Unione sono serviti a Berlusconi a richiamare al voto “difensivo”, nei confronti del “tartassatore”, milioni di persone. Ed è vero che a reagire è stato soprattutto, ma non solo il Nord. Il che rivela un distacco da quella società. Ma non esageriamo. E’ sbagliato dire che al Nord si registra un fallimento del centrosinistra. Il quale ha accresciuto i suoi voti rispetto alle regionali, anche se Berlusconi li ha aumentati di più modificando così i rapporti percentuali.
Il problema c’è, ma non ha le dimensioni di cui si parla. Dire poi - leggo Panebianco - che in Italia c’è una zona centrale (Emilia-Toscana-Umbria-Marche) dove i Ds mantengono percentuali alte perché «corrisponde all’insediamento della vecchia sub-cultura comunista», significa non capire la società di quella zona.
Lo stesso errore di Prodi, in altre realtà.

Andrea's version 18 Apr

Ci sono periodi come questo, nella vita, che nonostante continuerai a pagare l’Ici e a non vedere separazioni delle carriere, né ponti di Messina, e perfino convivendo senza la certezza che la nuova Livorno-Civitavecchia segherà come una mela la magione dei Caracciolo, ci sono periodi in cui ti sembra lo stesso di volare. Sarà perché godi quando gli altri sbarellano.
Con Ilvo Diamanti a giurare che non esiste più il Nord, Eugenio Scalfari che non esiste problema a parte gli italiani, e il pensatore Michele Serra, lui almeno nei secoli coerente, il quale si ostina a giurare che non esiste nient’altro che il proprio ombelico. Sarà per questo. O sarà invece perché gli impolitici siamo noi. E non riusciamo ad apprezzare lo scatto di reni che deriverebbe al paese dall’avere un ministro, diciamo, come il carissimo La Loggia. Tant’è. Non ne conosciamo il motivo, ma sappiamo che stiamo come papi. Sconfitti, ma come papi. Umiliati, ma come papi. Sul lastrico e pur sempre come papi. Tutto qui.
Era solo per avvisare l’amico Calderoli che, una volta convenuto di non usare più il termine “coglioni”, tantomeno bisognerebbe romperli.

Forattini 18 Apr

Giannelli 18 Apr

Dopo l'articolo del 17 Apr sul Financial Times che prevede lutti e rovine per i prossimi anni.
Competition is competion!
Gli osservatori europei ci guardano con senso critico e non fedeltà agli schieramenti.

17 aprile, 2006

Vignetta di un comunista(?) Olandese.

Watching TV is sufficient

Two thirds of the Italians have problems with reading and writing.

Corriere.it 17 Apr ore 10

La pessimistica previsione del condirettore del quotidiano inglese
«Voto: l'Italia rischia l'uscita dall'euro»
L'editoriale del Financial Times: «Possibile default sul debito e addio all'eurozona entro il 2015 dopo la vittoria risicata di Prodi»


Un default sul debito e l'uscita dall'euro entro 10 anni. Sono molto nere le previsioni del Financial Times sull'Italia dopo la vittoria, di strettissima misura, di Romano Prodi nelle ultime elezioni politiche. La tesi è contenuta nell'ascoltatissimo commento settimanale dell'editorialista Wolfgang Munchau, condirettore del quotidiano londinese. «La risicata vittoria della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi - si legge nell'editoriale - costituisce il peggior esito immaginabile in termini di possibilità dell'Italia di rimanere nell'eurozona oltre il 2015». «Prevedo che gli investitori internazionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all'euro entro la durata di un governo Prodi.
Queste - puntualizza Munchau - non sono scommesse sull'impegno politico di Prodi nei confronti dell'euro. Sarebbe infatti difficile trovare un politico più a favore dell'Europa dell'ex presidente della Commissione europea. Queste sono scommesse sulle circostanze economiche che potrebbero obbligare un governo a prendere decisioni che sono inimmaginabili fino al momento in cui diventano inevitabili».
...

16 aprile, 2006

Giannelli 16 Apr

Quasi gol

Telefonata all'amico George

Silvio: George, caro amico, Silvio speaking...

... I urgently need some vote controlling experts from Florida!

Corriere.it 16 Apr ore 13

L’Italia torni a puntare sull’Europa

Barbara Spinelli su La Stampa web 13 Apr

La campagna elettorale è finita, ora si tratta di guardare la realtà. La realtà è che l’Italia non ha acquistato prestigio, negli anni di Berlusconi.
In Europa ha scelto Blair, assecondando un disegno che si propone d’impedire l’unione politica. Nel mondo ha scelto la linea di Bush, che ha presentato la guerra in Iraq come lotta al terrorismo e ha imposto la preminenza unilaterale d’una superpotenza sul diritto internazionale. Ambedue i disegni stanno fallendo, e tanto più rimpicciolita ne esce l’Italia. Tradizionalmente, il suo ruolo era quello di far parte delle coalizioni più europeiste. Come scrive un recente documento dell’Istituto Affari Internazionali, l’Italia deve esser l’alleato di chi vuol far avanzare l’Europa (...). Oggi è probabile che si apra una fase in cui la convergenza tra Italia e Germania, che già più volte in passato si è rivelata proficua in materia istituzionale, potrebbe costituire la base di rilancio dell’Unione.
L’alternativa alla linea inglese e americana non è la Francia, e ancor meno la Russia di Putin con cui Berlusconi ebbe un rapporto pernicioso: le condotte dei due stati son state poco edificanti, e quella francese niente affatto europea. In tutta la fase preparatoria della guerra irachena, Parigi e Mosca hanno fatto credere a Saddam che gli Americani non sarebbero mai intervenuti senza l’Onu, e non hanno esercitato alcuna pressione sul despota. L’alternativa è un’Unione capace non solo di reagire, ma di decidere ed eseguire proprie politiche nel mondo.
La sinistra nel suo programma si affida all’Onu: nessun intervento potrà più avvenire senza il suo avallo. È una posizione coerente ma rischiosa, che scredita iniziative passate (Kossovo) e lega le mani per il futuro. Il diritto internazionale va difeso, ma a condizione di radicali riforme dell’Onu: Prodi nel programma le promette, ma non dice come agirà nel frattempo.
Molte cose bisognerà ancora correggere. Ma la stella polare ­ per una non-potenza come l’Italia ­ dovrà tornare a essere l’Europa. Rinunciare alla Costituzione perché la Francia ha detto no è un’offesa alla maggioranza di europei che l’hanno ratificata. Questo l’Italia dovrà dirlo con forza. Converrà infine non accettare nuovi allargamenti, prima d’aver liberato l’Unione del diritto di veto che l’imprigiona. Altrimenti l’Europa si riempirà di stati aggrappati alle proprie illusorie sovranità, e illudendosi perirà.

Forattini 16 Apr

Libero 16 Apr


L'ex ministro delle Riforme istituzionali Calderoli... Ieri è saltato su con una delle sue: i figli spurî di Bossi, quelli della Lega Alleanza Lombarda per l'autonomia, dopo averci soffiato il simbolo originario ci hanno sottratto una vittoria elettorale netta. Si dà il caso, dice, che i 45 mila e rotti voti che hanno ottenuto non possano essere conteggiati nella somma dei suffragi in base ai quali la sinistra ha strappato il premio di maggioranza alla Camera. Domando: perché mai, di grazia? La legge è chiara, risponde Calderoli. Parlo della legge che modifica in senso proporzionale il sistema elettorale. Le liste locali, presenti in una sola circoscrizione, non vanno sommate a quelle nazionali. È scritto. Invece nel computo finale, sulla scorta del quale si attribuisce il premio di maggioranza, la Lega Alleanza Lombarda è stata attribuita alla sinistra. Quarantacinquemila voti. Sottratti i quali Prodi risulta perdente per ventimila voti a Montecitorio.
C'è poco da discutere. La norma è scolpita nel marmo. Alla Camera l'abbiamo spuntata noi, non i nostri avversari. T'è capit Vittorio? Sicuro che ho capito. Ma chi glielo va a dire a quelli dell'Unione? Bisogna ricorrere. Testo alla mano dimostreremo che abbiamo ragione.
Diavolo di un Calderoli. Ma non sarà che le sue sono parole in libertà? Mica tanto. La legge in questione l'ha scritta lui. Lui era il ministro delle Riforme istituzionali. Gli rivolgo una gentile richiesta: mi ricevi a casa tua? Un'oretta soltanto, il tempo di spiegarmi meglio.

Repubblica.it 16 Apr ore 10


Capita anche di essere d'accordo con Tremonti (n.d.b.)

...
E' ovvio che a lei dispiaccia, ma questa maggioranza esiste, e il centrosinistra l'ha ottenuta nonostante una riforma elettorale pasticciata che avete voluto voi.
"La legge è la legge, e come tale va rispettata. Ma in realtà è una legge che si sviluppa in una logica opposta a quella del proporzionale. E' una legge maggioritaria, non adatta per il governo della complessità. E' bastato un giorno per verificarlo: grande maggioranza alla Camera, grande divisione nel Paese. La finzione giuridica non è sufficiente per superare e governare la divisione politica. Questa legge elettorale è formalmente proporzionale, ma sostanzialmente maggioritaria. (E' un maggioritario proporzionalizzato n.d.b.) Semplicemente, sposta l'effetto maggioritario dalla piccola dimensione circoscrizionale alla grande dimensione nazionale. La conta di base è proporzionale, ma il premio è maggioritario. La logica proporzionale, invece, avrebbe postulato anche un premio a sua volta proporzionale, e non lo scatto integrale di un superpremio per un solo voto".

Detto da lei fa un certo effetto. Tremonti non era forse un alfiere del maggioritario?
"Da dieci anni penso che il proporzionale sia meglio del maggioritario. E le spiego perché. Il sistema maggioritario deriva dal mondo anglo-sassone: qui prende il nome di 'first past the post', il primo dopo il palo. E già nel nome c'è il riflesso del mondo da cui viene. Una logica sportiva, un mondo tipo 'homo ludens'. E' il sistema ottimo per il governo di un mondo normale, in cui vivono società pacificate. L'opposto di quello che si vede in Italia dopo il voto del 9 e 10 aprile. E' per questo che considero giusto per l'Italia il sistema proporzionale, che è più baricentrato e consente il governo delle complessità. (L'avesse detto in campagna elettorale....! n.d.b.) E certo la complessità è la 'cifrà che domina la realtà attuale del nostro Paese".