18 aprile, 2006

Prodi risponda a tono

Editoriale de Il Riformista del 18 Apr

Non ci sono mai piaciuti i soloni stranieri che hanno la ricetta “giusta” per l’Italia e ce la propongono a ogni pie’ sospinto. Questo giornale ha criticato la copertina dell’Economist che voleva «licenziare» Berlusconi non perché non ne condividesse l’obiettivo, ma perché ci disturbava lo stile. Oltre tutto, gli intelligentissimi analisti del più intelligente global magazine non avevano capito granché (come dimostra il risultato elettorale). Oggi possiamo dire altrettanto sull’articolo del Financial Times. Evocare l’Argentina è quanto di più vieto e qualunquista si possa immaginare. Certo poco degno dell’acume di Wolfgang Munchau, acutissimo commentatore dell’FT (che sia detto per inciso appartiene a Pearson, lo stesso editore dell’Economist). Ma se analizziamo la sostanza dell’articolo, su molti punti, purtroppo, ha ragione. Il primo è che questo risultato elettorale è il peggiore possibile. Senza una chiara maggioranza non si capisce come Prodi potrà governare. Un’osservazione lapalissiana, ma vera. Così come quella che oggi non c’è bisogno soltanto di una buona politica congiunturale per acchiappare, almeno per la coda, la ripresa tedesca, ma di profonde riforme strutturali che consentano di recuperare competitività. Munchau osserva che il problema di fondo per l’Italia è «di non essere pronta a una vita nell’Unione monetaria». E non si tratta solo dei parametri di Maastricht. Ma dei parametri dell’economia reale. Ancor più del debito pubblico, inquieta un costo del lavoro cresciuto del 20% rispetto alla Germania e che continua a salire del 3% l’anno. Il taglio del cuneo fiscale proposto da Prodi avrà l’effetto di una svalutazione, quindi potrà favorire il recupero dell’export verso Germania e Francia (dove vanno due terzi dei nostri prodotti). Ma il sollievo è momentaneo. Già dopo un anno tornerà ad emergere lo squilibrio di fondo che s’annida nel sistema produttivo e nei servizi.
Se la diagnosi è giusta, allora le riforme fondamentali riguardano il mercato del lavoro e le relazioni contrattuali. Guarda caso, proprio quelle sulle quali si è manifestata già una rigidità assoluta da parte di Rifondazione, della sinistra radicale e del segretario generale della Cgil. Tutti hanno messo un’ipoteca pesante sul futuro. L’articolo di Munchau ci rende un pessimo servizio quando prevede «che gli investitori istituzionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all’euro entro la durata del governo Prodi». O Munchau gufa o specula. Ma ha ragione nel puntare l’indice sulla debolezza di fondo di una maggioranza risicatissima, minata in più da una «deriva leftist», come l’ha chiamata Montezemolo. Dunque, smaltiti i nostri eroici furori nazionali, andiamo al sodo. L’Unione non potrà più coprirsi dietro a un dito, dicendo che è tutta colpa di Berlusconi. Il divario di competitività riguarda le imprese e il centrosinistra. Adesso, si gioca in casa e il gioco si fa subito duro. Prodi dovrebbe rispondere a tono. Come? In due modi: verso la sua coalizione, lanciando un messaggio di coerenza, quindi criticando le posizioni di Epifani, e opponendosi agli aut aut preventivi di Rifondazione contro la legge Biagi; verso l’esterno rivelando finalmente chi sarà Mr. Confidence, l’uomo che reggerà l’economia e darà fiducia ai mercati.