22 aprile, 2006

Il Riformista 22 Apr

Al Senato Emilio Colombo preferisce Marini ad Andreotti
Conversazione con il senatore a vita di Tommaso Labate


Dalla presidenza della Camera alla formazione del governo, passando per Senato e Quirinale. L’agenda dell’Unione è diventata una questione di numeri. «L’Unione deve dimostrare che ha i numeri. Per questo, oggi, non c’è spazio per delle dissonanze». Emilio Colombo rompe il silenzio. Conversando con il Riformista si sbilancia sulle scelte che, da senatore a vita, lo attendono a breve. Una su tutte: l’elezione del successore di Marcello Pera. Franco Marini è il candidato dell’Unione, il centrodestra studia l’ipotesi Andreotti (che piace anche a Marco Follini), Mastella rumoreggia.
Messa così, sembrerebbe una questione tra democristiani. E Colombo, che della Dc è stato una delle colonne, parla senza esitazioni: il suo voto è per Marini. «Indubbiamente Marini può contare sulla maggioranza risicata del centrosinistra. Ma l’Unione deve rendersi conto che, per affrontare la situazione attuale, deve assolvere a un primo obbligo: quello di dimostrarsi una coalizione unita. Se il centrosinistra non sarà unito, non avrà alcuna possibilità di governare. E questo vale tanto per gli aspetti istituzionali, quindi le presidenze di Camera e Senato, quanto per il governo del paese». E l’ipotesi Andreotti ventilata da ampi settori dell’opposizione? «Non so se questo scenario può avere successo. Quello che mi preoccuperebbe, in questo caso, è che una candidatura rispettabile come quella di Andreotti possa diventare una candidatura di sfascio, di rottura, nell’ambito del centrosinistra».


Bertinotti gioca a fare il nuovo Pci relegando i Ds al ruolo che fu del Psi di Dino Cofrancesco

In politica simboli, culture e tradizioni hanno un valore che solo il materialismo volgare - da non confondersi col materialismo storico - è portato a minimizzare. Un partito antisistema può adottare una tattica prudente: ad esempio può chiedere una serie di riforme radicali ma non incompatibili con una democrazia “progressiva”; può rinunciare a propri rappresentanti nel governo, se parte di una coalizione vincente; può, nei confronti di avversari e di concorrenti, sfoderare uno stile di compostezza e persino di amabilità: se però la political culture rimane illiberale e antioccidentale, la sua pericolosità non ne viene affatto neutralizzata. Quel che conta, infatti, è che le idee, i costumi della mente e gli abiti del cuore di quel partito penetrino nelle istituzioni, nelle scuole, nei mass-media, diventino, per così dire, «senso comune», siano considerati normali. C’è chi sta con Hamas, che vuole cancellare Israele dalla geografia politica, e chi sta con Peres: opinioni le une, opinioni le altre; c’è chi vuole dedicare una piazza al povero Carlo Giuliani e chi è contrario: tot capita…

L'Italia dei critici che sbagliano vitamine di Filippo La Porta

Non so se l’Italia sia un paese stanco. Certo appare singolarmente opaco, un pianeta gassoso e ingannevole come Saturno, quasi impenetrabile anche per chi ci abita e non solo per gli osservatori stranieri. La nostra letteratura, ad esempio, fatica a descrivere il proprio paese, si finge mitteleuropea, si rifugia volentieri in scenari improbabili, americani o di pura fiction cinematografica. E’ una realtà che tende ad annebbiare e confondere perfino i suoi interpreti intellettualmente meglio attrezzati.