27 maggio, 2006

Giannelli 27 Mag

26 maggio, 2006

Il pericolo dei ministri chiacchieroni

Lucia Annunziata su La Stampa del 26 Mag

Il rapporto fra politica e stampa è stato una questione molto acuta durante il governo Berlusconi. Non è chiaro che forma prenderà con il governo Prodi. Prevarrà nella nuova maggioranza la dialettica fra istituzioni diverse ma pari, o il sospetto verso un potere che si considera concorrente, se non addirittura ostile
Per un centrosinistra che ha vissuto gli anni dell'opposizione centrando la sua battaglia proprio intorno ai temi della libertà editoriale, la domanda non andrebbe nemmeno formulata. Ma la questione, cacciata dal portone, sta rientrando da un finestrino lasciato distrattamente aperto: la loquacità dei vari ministri e sottosegretari ha procurato più di una confusione e vari momenti di imbarazzo, al punto da far decidere al premier di non andare in tv, per «segnare un nuovo stile» nella comunicazione pubblica.
Romano Prodi ha fatto bene a porre il problema di come comunica un governo - e tuttavia non andare in tv per indicare il cambiamento è un po' come picchiare la suocera per non darle alla moglie. Intendendo con ciò dire che se è del tutto legittimo decidere quando, come e se, parlare con la stampa, la questione della coerenza di linguaggio di un governo non ha nulla a che fare con il giornalismo.
Il giornalismo infatti ha tante funzioni, può essere una presa d'atto, l'interlocutore reattivo, lo stimolo, il pungolo, o anche il tifoso. Ma i contenuti dell'azione pubblica può fornirli solo il governo stesso.
Andare in tv o dare una intervista è un «modo» della politica, non un contenuto in sé. Parlare con una sola voce per un governo non è, dunque, questione di stile e nemmeno, come pure si suggerisce, di un portavoce unico, ma solo di «cosa» si dice. Più che protagonismo, ingenuità o vanità (come si è detto e scritto) la loquacità di queste prime ore della coalizione sembra esprimere una consapevole lotta per lo spazio da guadagnare a idee diverse. Riesce piuttosto difficile immaginare personaggi di lunga navigazione, quali sono i 99 eletti, come dei novellini abbagliati dalla improvvisa visibilità. Davvero pensiamo che chi dice no Tav o no Pacs, o regolarizzazione di massa degli immigrati, non abbia idea degli effetti delle sue parole? Quello che sta succedendo appare in realtà come lo squadernamento pubblico delle molte mediazioni fatte per scrivere il programma, e la voglia di forzarne i limiti. Insomma, l'incrocio e la rincorsa alle dichiarazioni sa molto più di un anticipo di lotta politica che di mondanità.
Per questo è apprezzabile che il Premier abbia deciso di sollevare il problema. Ma la soluzione è nel rendere omogenea la compagine di governo, non nel negarsi ai giornalisti. Negarsi alla stampa significherebbe infatti alimentare quella vecchia cultura del sospetto nei confronti dei media che è una delle vecchie paure della sinistra, e che un governo che nasce nel 2006 ha il dovere di lasciare nel passato.

Caro Fassino, ricordi il Regolamento?

Emanuele Macaluso su Il Riformista del 26 Mag

Spesso accade che nel descrivere le operazioni di insediamento dei ministri, vice-ministri e sottosegretari i giornali ricorrono al colore e al gossip, ma a volte da quei racconti emergono dei fatti che fanno riflettere. Non so se le cose che abbiamo letto ieri sul Corriere, nel servizio di Marco Galluzzo, a proposito delle numerose stanze contese a Palazzo Chigi tra i vice-presidenti D’Alema e Rutelli, siano più o meno attendibili. Il clima però è quello che si respira in quell’articolo. Non c’è solo la ressa e la rissa ministeriale, ci sono anche comportamenti che qualificano la serietà e il rigore dei partiti.
A questo proposito vorrei chiedere all’onorevole Fassino, che mi considera un ingeneroso per i giudizi dati sulla composizione del governo, se come segretario dei Ds fa applicare o no il “Regolamento per le candidature” adottato dalla direzione Ds all’unanimità l’11/1/2006. All’articolo 10 leggo: «distinzione tra cariche parlamentari e cariche di governo (a esclusione dei ministri) al fine di favorire un più efficace esercizio dalle diverse funzioni». I vice-ministri e i sottosegretari si sono dimessi da deputato o senatore? O i regolamenti sono solo uno specchietto per le allodole?

Giannelli 26 Mag

24 maggio, 2006

Il Corriere richiama le tre zapatere

Emanuele Macaluso su Il Riformista del 24 Mag

Dopo la formazione del governo e la nascita del ministero per la famiglia, in questo spazio mi chiedevo cosa farà ogni giorno la ministro Rosy Bindi. Certo non per rispondere all’interrogativo, ma per indicare una linea politica su dei temi scottanti che coinvolgono la famiglia, la Bindi ha fatto le dichiarazioni che abbiamo tutti letto (sulle coppie di fatto e la legge sulla procreazione assistita). Ieri abbiamo visto le reazioni negative sull’Osservatore e sull’Avvenire, e non siamo rimasti sorpresi. Non ci ha sorpreso nemmeno Antonio Socci, custode dall’ortodossia cattolica, che su Libero ha ricoperto di insulti non solo la Bindi, ma il cardinale Francesco Pompedda, giurista del Vaticano.
Quel che ci ha sorpreso invece è l’editoriale del nostro amico Pigi Battista sul Corriere, che chiama la Bindi, la Turco e la Bonino «le tre zapatere», in quanto sembra che vogliano «prendersi una rivincita con Joseph Ratzinger proprio sui temi etico-civili e di morale sessuale familiare oggetto della predicazione papale». Addirittura? Vada per la Bonino, organicamente disubbidiente, ma le cattoliche Bindi e Turco no. E’ giusto quindi, dalle colonne del Corriere, richiamarle all’obbedienza papale.

Giannelli 24 Mag

E tutti tacquero (per cinque minuti)

Gian Antonio Stella su Corriere.it del 24 Mag

Alle otto di sera si sarebbero contati già 184 takes d'agenzia di esternazioni, reazioni e reazioni alle reazioni

Romano Prodi ha detto: zitti! E il governo intero è ammutolito: è o non è il capo? Le interviste in corso si sono fermate, i registratori sono stati spenti, le telecamere sono state bloccate, le penne son rimaste a mezz'aria sui taccuini come se il vociante caravanserraglio fosse stato pietrificato dallo sguardo della Medusa. Erano le 10.08 di ieri mattina. E per cinque minuti (300 interminabili secondi!!!) ha dominato su tutto un magico silenzio.Poi, alle 10.13, è arrivato Vincenzo Visco, aveva qualcosa nel gozzo sulle tasse, l'ha espulso ed è venuto giù il diluvio: alle otto di sera si sarebbero contati già 184 takes d'agenzia di esternazioni, reazioni e reazioni alle reazioni.
Un capolavoro. Che a qualcuno ha fatto venire in mente un vecchio e geniale titolo di Cuore: «Ci arrendiamo: basta che state zitti!» È una settimana infatti che i ministri «coesi» del governo «coeso» frutto della maggioranza «coesa», per usare la parola più abusata di questa primavera, se ne vanno ognuno per conto proprio. Sarà perché sono ancora spinti dalla forza d'inerzia dopo una campagna elettorale in cui ogni voce ha cantato per conto suo, sarà perché ognuno vuole dimostrare che il suo partito ha portato a casa un tozzo per i rispettivi elettori, sarà perché la vanità di dire qualcosa e di vederlo finire nei tiggì può essere irresistibile, fatto sta che parlano, parlano...
Intendiamoci, sono tutte posizioni legittime: chi vince, sia pure di strettissima misura, ha il diritto di governare. Di più: ogni singolo proponimento potrebbe essere perfino giusto, doveroso, sacrosanto.Potrebbe aver ragione il responsabile dei Trasporti Alessandro Bianchi, che con quella somiglianza al mago Gandalf del Signore degli Anelli pare ancora più solenne quando s'erge contro il Ponte di Messina inutile e dispendioso. E così l'addetto alla Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, che come primi obiettivi dice d'essersi dato quelli di metter mano alla Bossi-Fini e abrogare la Fini-Giovanardi sugli stupefacenti e di puntare alla depenalizzazione delle droghe leggere dato che «anche alla Camera molti hanno fumato uno spinello e non mi sembra sia morto nessuno». E ancora Cesare Damiano, che vuole «superare e cancellare le norme più precarizzanti» della Legge Biagi, che pure Walter Veltroni aveva definito l'altra settimana come «la via giusta».
E potrebbe aver ragione Barbara Pollastrini a promettere come «uno dei primi atti da ministra delle Pari Opportunità» una legge «avanzata ed equilibrata» sulle unioni di fatto in accordo con le aperture di Rosy Bindi con cui si ripropone di fare «un lavoro coeso». E poi il verde no-global Paolo Cento che appena fatto sottosegretario al Tesoro ha spiegato che i mercati finanziari si devono adeguare al nuovo corso e dunque, dopo anni spesi a far soldi (puah...), devono «imparare che al centro devono essere messi i consumatori e i risparmiatori», per non dire dell'appello a non sfilare con le armi nella parata del 2 giugno nella scia dello slogan hippy («Mettete dei fiori nei vostri cannoni») cantato dai Giganti. E potrebbe aver ragione Livia Turco nel dichiararsi favorevole alla pillola abortiva RU486 essendo «per l'interruzione di gravidanza, che già è un fatto drammatico per le donne, con metodiche meno invasive e dolorose». E poi Clemente Mastella sull' abolizione almeno di una parte delle leggi volute da Castelli e Paolo Gentiloni sull' abolizione della Gasparri.
E così, per ultimo, potrebbe essere nel giusto Vincenzo Visco, quando dice tra lo scandalo delle destre che «siamo ben oltre il 4,5% del deficit-Pil» e che «l'eredità lasciata dal Polo è micidiale» e che «veniamo da mesi in cui hanno raccontato un mondo che non esisteva» e che i segnali di ripresa sono «modesti» e che il governo «agirà sia sulla tassazione delle rendite finanziarie sia sulle imposte di successione ».
Ma il punto è: a nome di chi parla? Parla per sé, sfogando la rabbia di essere stato sbeffeggiato per anni da Tremonti cui vuol render pan per focaccia rovesciandogli addosso le stesse accuse (il buco occultato, l'eredità disastrosa dei conti, la mediocrità professionale, la disonestà intellettuale...) che aveva ricevuto? O parla anche per Romano Prodi, Tommaso Padoa- Schioppa e insomma il governo nel suo insieme? I suoi colleghi sono d'accordo, sulle sue sortite? Vale per lui e vale per gli altri: anche Beppe Fioroni, per esempio, pensa che «di spinelli non è mai morto nessuno»? Anche Arturo Parisi, che sta alla Difesa e in gioventù si diplomò alla Scuola Militare della Nunziatella, vorrebbe vedere alla parata del 2 giugno tutti in borghese o magari, come sogna Fausto Bertinotti, fasciati dai colori della pace? E per pura curiosità, si stanno chiedendo Rosa Russo Jervolino a Napoli e Bruno Ferrante a Milano e Sergio Chiamparino a Torino e Rita Borsellino in Sicilia, l'ex ministro del Tesoro oggi «vice» alle Finanze e tutti gli altri Esternators di questi giorni sono stati informati che c'è una tornata amministrativa dove i candidati dell'Unione si giocano moltissimo? Hanno idea di come sia stato eroso in poche settimane il credito (risicato) che aveva il centro-sinistra? Hanno già dimenticato, come ricorda irritatissimo Daniele Capezzone, i danni creati nelle fasi finali della campagna elettorale dalle sventurate «ricette» per le tasse, sventolate da questo e quello nel caos totale con ingredienti e dosi sempre differenti? Sia chiaro, non è la prima volta. Non c'è governo, nella storia repubblicana, che non sia stato minato al suo interno dalla volontà di questo e quel ministro di affermare la propria linea per rassicurare i propri elettori. Basti ricordare la battuta di Alfredo Biondi in uno dei momenti caldi passati dagli esecutivi di Silvio Berlusconi: «Ormai la Casa delle libertà è diventata un casino. Con una sola differenza: nei casini c'era almeno la tenutaria che teneva l'ordine». Qualche anno fa, stufo di sentire qualche collega che parlava troppo e a sproposito, Enrico La Loggia sbottò: «Bisognerebbe recuperare uno strumento dal nome "parlapicca" utilizzato dalle mie parti per limitare la logorrea...». Pinuccio Tatarella lo conosceva bene, il rischio. E teorizzava: «Non occorre mentire, ma non sempre è bene dire cosa si pensa. Se tutti dicessero sempre cosa pensano andrebbe tutto in pezzi...». Dice oggi Romano Prodi: «Testa bassa e pedalare». Vale per tutti?


22 maggio, 2006

Padoa (scoppia)

Andrea's version su Il Foglio del 19 Mag

Calma, state calmi, non è successo niente. Ora che Romano Prodi è praticamente passato, diventano (scusate la volgarità) tutti cazzi del ministro dell’Economia.
Basta dare un’occhiata. Il potere sulle pensioni è passato a sorpresa a Ferrero (Rifondazione). Così, si è trattato di un qui pro quo. E Damiano (Ds) si è ovviamente imbufalito. Visco sta piantando i canini sul collo dell’Irap. E possono scordarsi che lo molli. Il povero ministro dell’Economia, spiegato in altri termini, rischia la parte del Paparesta nello spogliatoio. Bersani ha già fatto sapere che su Enel ed Eni vuole decidere lui. Il sottosegretario Cento (il quale, come si sa, è andato là perché fa cifra tonda, tanto è vero che suo cugino Trentotto è tutt’ora precario) prepara gli striscioni per la patrimoniale e ritma slogan sulla Tobin tax. Di riffa o di raffa, c’è anche la questione del Ponte di Messina. Poi, anche se alcuni deficienti si ostinano a chiamarla alta, quella della bassa velocità. Poi c’è da finanziare il Mose di Venezia. Prima ancora, tutto il cuneo fiscale.
Per farla breve, secondo me Padoa schioppa.

Luna di miele sì, ma non in bianco

Giampaolo Pansa su l'Espresso 22 Mag

Il governo Prodi va difeso con le unghie e con i denti. Dalla opposizione ma anche dalle divisioni del centro-sinistra.

Forse i tanti capi-clan del centrosinistra non ci hanno badato, ma ci sono degli elettori dell'Unione che si stanno già stancando. Vivo tra persone normali, viaggio in treno, vado nei negozi, in edicola, in libreria, al caffè. E li vedo e li sento. Nei giorni della Via Crucis di Romano Prodi per formare il governo, questi elettori erano incavolati come bisce. Ma come?, mi dicevano. Abbiamo vinto per un pelo. Al Senato siamo appesi a un filo. I ventiquattromila mila voti di vantaggio alla Camera sembra che siano sotto esame. E i nostri, a Roma, fanno tutta questa manfrina per le poltrone, mettendo i bastoni fra le ruote del Parroco dell'Ulivo?

Ho anche sentito dire: "Basta, quei ras mi fanno senso. E non li voterò più". Vagli a spiegare che Silvio Berlusconi non si è ritirato a Tahiti e se ne sta lì, pronto a raccogliere i cocci dell'Unione, non per incollarli, ma per gettarli nel guardaroba dei cani. Anche davanti a questa obiezione, alcuni non vogliono sentir ragioni. E ti replicano: "Ma che differenza c'è tra noi e il Berlusca? Come lui, anche i capi dell'Unione se ne fregano di noi italiani qualunque".
Adesso che il governo Prodi è nato, molte sacrosante incazzature forse si spegneranno. Ma di certo non si attenueranno le apprensioni per il futuro del centro-sinistra. Come dare torto ai dubitanti? Mi sono riletto l'intervista che Prodi mi aveva dato per 'L'espresso', pochi giorni prima del voto. Per vecchia esperienza, so che le interviste ai politici si dimenticano presto. Sono parole di carta, che svaniscono quasi subito nell'aria, senza lasciare traccia. Ma, almeno per me, questo non è il caso di quel colloquio con il Professore.
Prodi mi disse: "Se vinciamo e si fa il governo, a quel punto non esiste una via di mezzo: se cado io, o se i miei mi fanno cadere, cade anche il governo e si va di nuovo a votare. A me non piace mediare. Voglio governare. Ogni volta che si riunirà il Consiglio dei ministri, non si discuterà, ma si deciderà. Dovremo muoverci in fretta. Lo stato del paese è molto degradato. Bisogna imporci un ritmo veloce. L'importante è che non ci sia nessun ministro che si metta in testa di fare il fenomeno. Se ce n'è anche uno solo, sono guai".
Quanti fenomeni avrà incontrato Prodi nell'estenuante maratona delle trattative? Un battaglione, di sicuro. Tutti lì a rivendicare questo o quel ministero. A presentare richieste assurde. A mettere veti. A proporre spartizioni insensate. A imporre regole spadoliniane di un secolo fa. A pretendere pennacchi: un vice-premier, due, tre, cinque. Un pessimo avanspettacolo in attesa dello spettacolo vero. Quello del governo che dovrà mettersi all'opera subito, senza perdere un giorno di tempo.
E a proposito del governo, i partiti o i ministri tentati di fare i fenomeni dovranno ficcarsi in testa due chiodi che non bisogna schiodare. Il primo è la necessità della concordia come bene primario. Il nuovo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l'ha invocata nel paese, fra i due blocchi che si sono combattuti all'arma bianca nella campagna elettorale. Ma, a maggior ragione, la concordia deve esserci fra gli alleati di una coalizione. Altrimenti, è meglio chiudere bottega e tornare alle urne.
Il secondo chiodo è legato al primo: la figura di Prodi è un patrimonio del centrosinistra e dei suoi elettori. Lo abbiamo scelto con le primarie. Lo abbiamo confermato con il voto del 9-10 aprile. Santa Scarabola, che protegge chi si dedica a imprese impossibili, lo ha aiutato a fare il governo. Adesso che sta per entrare a Palazzo Chigi, Prodi va difeso con le unghie e con i denti. Dagli assalti del centro-destra, certamente. Ma ancora più dalle risse tra chi deve sostenerlo. Anche l'Unione non è immune dall'Aids della disistima reciproca, dalla voglia di sgarrettare l'alleato, dal vizio di rompere, di spaccare, di far saltare il banco appena messo in piedi.
Durante la guerra civile spagnola, i giornalisti chiesero al generale Emilio Mola, uno dei vice di Franco, quale delle loro quattro colonne avrebbe conquistato Madrid. Mola sorrise e rispose: la quinta colonna, quella che sta già in città. Cari partiti dell'Unione, cari ministri, cari sottosegretari: attenti a non diventare la quinta colonna del Berlusca. Dovete sapere che, in quel caso, nulla vi sarà perdonato. Ve ne andrete tutti in pensione obbligata. Diventerete dei signori Nessuno. Potrete forse scrivere libri di memorie, ma dubito che qualcuno li leggerà.
Abbiamo bisogno di essere governati. Sì, abbiamo fame di governo. E siamo pronti a concedere al governo Prodi quella che si chiama la luna di miele: un periodo di tregua, per dargli il tempo di cominciare il lavoro. Purché nella luna di miele gli sposi del centro-sinistra non vadano in bianco, passando i giorni e le notti a prendersi a schiaffi. In questo caso è meglio che restino zitelli. Sempre più vecchi, brutti e inaciditi. Comparse buone soltanto per la spazzatura dei telegiornali.

Il delirio d'impotenza di Guzzanti

Emanuele Macaluso su Il Riformista 17 Mag

Paolo Guzzanti, sul Giornale, ha scritto un articolo-lettera indirizzato a Giorgio Napolitano commentando il suo discorso al Parlamento con un tono pacato, ma dicendo cose discutibili. Rivolgendosi al presidente, Guzzanti scrive: «Il suo discorso era buono, anzi ottimo, ma non poteva evitare il difetto genetico dell’elezione dimezzata ... Il suo settennato nasce sotto l’egida di mezzo Parlamento, a nome di meno della metà degli italiani, avendo contro l’altra metà». Anzitutto non si capisce perché Napolitano rappresenti «meno della metà degli italiani», se l’Unione che l’ha votato ha ottenuto 26 mila voti in più della Cdl. Mistero.
Ma Guzzanti dimentica che Casini e Fini volevano votare Napolitano, apprezzato apertamente pure da Bondi, da Martino e altri parlamentari di Forza Italia. Ancora oggi Casini e Fini considerano un errore non avere votato il presidente. Il fatto che Berlusconi impose la disciplina di coalizione, anche in vista delle elezioni amministrative, nulla toglie al consenso sostanziale di una parte larga della Cdl. Un consenso ribadito dopo il discorso di ieri. Dire che metà degli italiani saranno «contro» il capo dello Stato è solo un delirio, non di potenza, ma d’impotenza.

21 maggio, 2006

Cossiga a Berlusconi: ''Paperon de' Paperoni non ci accusi di immoralità''

Da Adnkrons/Ign) del 20 Mag

Lettera aperta del presidente emerito al Cavaliere: ''Io, Agnelli e Leone garantimmo il primo governo e nessun addebito ci fu rivolto né dalla sinistra né da te''
Il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ha scritto una lettera aperta a Silvio Berlusconi per stigmatizzare senza mezzi termini ''l'indegna gazzarra inscenata dai gruppi parlamentari della Casa delle Libertà mentre esprimevano il loro voto a favore della mozione di fiducia al governo Prodi i senatori a vita, di diritto e di nomina presidenziale''.

Tanto più che la contestazione - scrive Cossiga - ha coinvolto ''non solo me, Andreotti e Scalfaro, 'ragazzotti' che da oltre mezzo secolo 'battono' le strade della politica e che a ben più violenti tipi di scontro e di colluttazione, di insulti e di imprecazioni, e da pulpiti politicamente ben più solenni del vostro, dalla destra di Giorgio Almirante alla sinistra di Giancarlo Paietta, ma con minore astio, maleducazione e cattiveria, sono adusi, ma per i due nuovi senatori a vita che per l'ambiente finora professionalmente frequentato, le severe stanze della Banca d'Italia e gli alacri studi di progettazione d'alto livello, pensavano di trovarsi nel 'salotto buono' della politica italiana, tra l'altro architettonicamente copia della Camera dei Deputati del Regno di Sardegna, a Palazzo Carignano, in Torino, e si sono trovati per colpa vostra sbalzati in un ambiente da suburra di quartiere malfamato della Roma della decadenza!''.
''Ben diversa - ammonisce il senatore a vita rivolgendosi al Cavaliere - è l'accusa di 'immoralità' che tu, con molta avventatezza e leggerezza, hai rivolto ai senatori a vita che hanno votato la fiducia per il governo Prodi, me compreso. Si fosse trattato di un'accusa per qualche mio normale ma irregolare 'rapporto' per così dire…. sentimentale con qualche bella ragazza venezuelana o napoletana da te presentatami, passi! Ma la 'politica' ed il servizio dello Stato sono stati per me e per la mia famiglia cosa troppo seria, perché io possa accettare accuse di immoralità da un, anche se simpatico ed abile, 'Paperon de' Paperoni' prestato alla politica, e non senza utile personale!''.
Ma non solo. Perché Cossiga ricorda all'ex premier: ''Avevo proposto, il giorno che furono indette le elezioni, che i senatori a vita, di diritto e di nomina presidenziale, qualora nel voto per la fiducia al nuovo governo la loro singola preferenza dovesse essere determinante in un senso o nell'altro - al fine di non alterare il risultato elettorale, espressione della volontà popolare - si dovessero astenere dal voto, pur dichiarando la loro preferenza politica. Ma questa mia tesi e proposta non è stata accolta da nessuno''.
''Se fossi stato moralmente certo che il mio solo voto sarebbe stato determinante a favore della fiducia al governo Prodi, avrei dichiarato la mia preferenza politica per esso, ma non avrei partecipato al voto - continua Cossiga - Ma poiché il mio voto non avrebbe avuto questo effetto, ho votato tra i vostri lazzi ed insulti. Premetto che nella mia vita politica, nelle elezioni cui ho preso parte e con leggi elettorali ben più serie, ho raccolto centinaia di migliaia di voti individuali di preferenza e che ho ricoperto non poche cariche pubbliche: consigliere comunale, deputato, senatore, più volte sottosegretario di Stato, anche con deleghe delicate, più volte ministro, presidente del Senato ed infine presidente della Repubblica (di qualche legittimazione politica ed istituzionale sarò pure dotato, pur non avendo costruito Milano II, e non essendo proprietario di Fininvest, Publitalia, Mediaset e Mediolanum e di, pare, sedici tra ville e palazzi….)''.
Infine, Cossiga ricorda il precedente del 18 maggio 1994, data della formazione del primo governo Berlusconi: ''Fui autorevolmente incaricato (io, che non avevo alcuna intenzione di votare a suo favore) di 'organizzargliene' una (di fiducia)! I senatori erano trecentoventisei, di cui undici erano senatori a vita, presenti in Aula furono trecentoquindici e trecentoquattordici i votanti; centocinquantotto voti era la maggioranza richiesta. Votarono si' centocinquatanove senatori, centocinquantatre furono i contrari e due gli astenuti, che al Senato valgono per voto contrario''. ''Il governo Berlusconi - taglia corto l'ex capo di Stato - ottenne la fiducia per un solo voto, a garantirla tre senatori a vita: Giovanni Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone. Nessuna accusa di 'immoralità' ci fu rivolta né dalla sinistra né…da te!''.
Oggi sulla vicenda è nuovamente intervenuto anche il senatore Giulio Andreotti. ''Quella della Cdl è una contestazione teorica - afferma - non è scritto da nessuna parte che i senatori a vita non possano esprimere un voto politico. E d'altronde, quale sarebbe stata l'alternativa?'' chiede Andreotti e, dopo aver stigmatizzato ''il clima da curva sud'' in Senato, si è augurato che ''si inizi a lavorare in modo corretto e costruttivo''. Poi, alla domanda su perché l'attuale opposizione, dopo averlo candidato alla presidenza della Repubblica, lo abbia fischiato, ha risposto: ''Pensavo di poter rappresentare, per mia natura, un elemento a favore dello scioglimento di ogni contrasto…''.

Il Manifesto 21 Mag

Diritti alle coppie di fatto, anche pubblici

Aldo Cazzullo su Il Corriere del 21 Mag

Bindi, ministro della Famiglia: sbaglia chi dice che la legge sulla fecondazione non va toccata. Logiche alla Cencelli nel nuovo governo.

«Per la prima volta, finalmente l’Italia ha un ministro per la Famiglia. Dovrò ascoltare la Chiesa, ma anche tenere conto dei mutamenti della società, delle tante forme di famiglia. Si tratta di trovare una sintesi tra i miei valori di cattolica e il rispetto per le idee e le inclinazioni diverse».
Nella sua prima intervista da ministro, Rosy Bindi apre sulle unioni civili («Non è possibile relegarne la tutela nella sola sfera del diritto privato») e sulla fecondazione assistita («Sbaglia sia chi dice che la legge non va toccata sia chi dice che va stravolta»). E racconta, anche con accenti critici, la storia della formazione del secondo governo Prodi.

Ministro Bindi, che cos’è successo l’ultima notte? «Non ne so molto neanch’io. L’ultima notte è il momento delle scelte vere. Nel momento decisivo, ha finito per contare il peso specifico all’interno dei partiti».
Il governo pare fatto con il bilancino, pesando non solo i partiti ma anche le correnti. «Sono possibili due letture, una in negativo e una in positivo. Da una parte, le logiche cencelliane esasperate, frutto anche della pessima legge elettorale, non corrispondono alla necessità di restituire un rapporto vero e profondo tra la politica e i cittadini. Rispetto al modello dell’Ulivo del ’96, con 16 ministri, i 25 di oggi, più i vice e i sottosegretari, segnalano che viviamo una fase diversa della vita politica italiana. Dall’altra parte, il fatto che il governo abbia finito per essere condizionato da logiche di partito fa sì che nessuno possa chiamarsi fuori. Tutti sembrano accontentati. E sono nati i gruppi unici in Parlamento: un passo verso il partito democratico. Possiamo avere un governo forte e una politica forte».
Anche lei avrebbe dovuto avere un ministero «forte», l’Istruzione.
«E dire che mi ero abituata a fatica all’idea. Quando me ne parlarono rimasi perplessa: non avevo avuto molte occasioni di occuparmi del tema. Poi mi ero convinta, visto che considero la scuola una delle nostre sfide più importanti. Invece mi tocca la sfida della famiglia. Non la considero meno importante».
Al suo posto hanno messo il meno ulivista di tutti, Fioroni.

«La funzione fa maturare chi la esercita. Se Giuseppe Fioroni non saprà acquisire una mentalità ulivista, se non riuscirà a riassumere in sé le varie culture del centrosinistra, non sarà in grado di governare un ministero così complesso. Ma lo conosco: se gli danno un giocattolo, sa farlo funzionare; e stavolta gli hanno dato un giocattolone, l’Istruzione. Se l’avessero data a me, per prima cosa ne avrei cambiato il nome, tornando all’antico: Pubblica istruzione. I gestori possono essere pubblici o privati, ma la funzione è pubblica».
Il governo è chiamato a modificare la linea della Moratti?

«È una linea che va modificata profondamente. È vero che non si può procedere a colpi di riforme e controriforme, ma è anche vero che molte scuole hanno resistito alla riforma Moratti, che del resto in alcune sue parti è tuttora inapplicata. A Fioroni consiglio di mettersi in ascolto. Un lungo viaggio di ascolto, prima di scegliere».
Resta il fatto che ulivisti come lei, la Melandri, Enrico Letta sono penalizzati rispetto all’altra volta.

«Enrico è in un posto-chiave. C’è Parisi alla Difesa. E poi in questi mesi i più accaniti sostenitori del partito democratico sono stati D’Alema e Rutelli. Ora sono chiamati alla prova. Altro discorso è la questione delle donne».
Si diceva: molte, e in posti-chiave.

«Al di là del numero, su cui, come dice Prodi, non accettiamo lezioni dalla destra, visto che 6 è più di 2, stavolta c’era la possibilità di assegnare qualche ministero più importante a una donna. Esiste una questione di potere: ancora una volta, il potere non va alle donne. Non c’è stato il coraggio di mandare una donna nella sfera di potere riservata agli uomini, dove mi sarebbe piaciuto vedere al lavoro una di noi, come accade in altri Paesi».
Ha letto la lista dei sottosegretari? Si segnala il viceministro Verzaschi, sino a poco tempo fa dirigente di Forza Italia.

«Senza quello spostamento il risultato delle scorse regionali nel Lazio sarebbe stato diverso. In queste circostanze è premiata l’utilità marginale. I sacrifici si chiedono ai fedelissimi, a quelli che ci sono sempre».
A lei. Che cosa farà da ministro della Famiglia?

«È un ministero da inventare. L’Italia non ha mai avuto un’organica politica della famiglia; è tempo di dargliela. Il tema ne incrocia molti altri: il fisco, i servizi sociali, il lavoro. Siamo il Paese al mondo con più anziani e meno bambini. Il mio obiettivo è aiutare i tre milioni di anziani non autosufficienti, e far sì che tutte le coppie possano avere tutti i figli che desiderano».
Anche facilitando le adozioni e la fecondazione assistita?

«È fondamentale che nessuna coppia sia costretta a rinunciare a un figlio perché non ha i mezzi per crescerlo. Detto questo, le adozioni sono uno dei campi in cui l’Italia deve diventare un po’ più europea. La legge sulla fecondazione va affidata al Parlamento. Sbaglia sia chi dice che non va toccata, sia chi dice che va stravolta. Un anno fa prevalse l’astensione; ma gli astensionisti sostennero tra l’altro che non poteva essere un referendum a sciogliere il nodo. Mancarono allora una riflessione e una discussione che adesso sono necessarie».
E sui Pacs, contro cui è tornato a esprimersi Benedetto XVI?

«Nel programma dell’Unione questa parola non c’è. Si parla di unioni civili, e di diritti da garantire».
Diritti delle persone, da regolare nella sfera del diritto privato, come sostiene ad esempio Rutelli? O le unioni civili potranno avere un riconoscimento pubblico?

«A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? Se c’è una norma che si applica a due persone, anche i terzi sono tenuti a rispettarla. Vedremo. Ne discuteremo. Dovremo evitare uno scontro ideologico».
Ruini ha espresso il suo compiacimento per la nascita del ministero della Famiglia. Contenta?

«Molto. Le parole di Ruini sono state una delle consolazioni di questi ultimi giorni. Vede, io sono apparsa a volte come una cattolica del centrosinistra, che prende posizioni anche un po’ critiche verso la Chiesa. Ora il mio essere credente è messo alla prova: dovrò trovare una sintesi fra i miei valori e il rispetto per il pluralismo e l’evoluzione della società, per le idee e le inclinazioni diverse».
Esiste un’ingerenza eccessiva della Chiesa nella politica?

«La Chiesa non può non dire quello che pensa. Ma la politica non può non assumersi la responsabilità delle mediazioni e delle scelte. Non dovremmo preoccuparci per le parole dei vescovi, ma eventualmente per il nostro silenzio».
Da destra le contestano di fare il ministro della Famiglia senza essere moglie né mamma. Avvenire la difende.

«È una questione che anch’io pongo a me stessa. L’ho anche detto, a Prodi e a Rutelli. Ma forse il mio profilo mi consente di capire le ragioni di tutti, e le tante forme di famiglia. Al Senato, Lidia Menapace mi invita a badare anche alle patologie familiari. Ha ragione: la famiglia può essere il luogo degli affetti più grandi, ma anche dei soprusi e dei delitti più atroci».
Ministro Bindi, il suo profilo le ha attirato ostilità ma anche affetto. Lei fu un punto di riferimento della stagione dei girotondi. Il criterio con cui è nato il governo non rischia di rinfocolarli?

«Spero proprio di no. Quel biennio risvegliò il centrosinistra. Guai se ne perdiamo lo spirito. Furono poste questioni centrali: conflitto di interessi, Costituzione, pace, legalità, giustizia, scuola, sanità. Impegni che ora sono nel nostro programma. Se vi verremo meno, se non regoleremo il conflitto di interessi, se tradiremo l’amore della legge, allora ci ritroveremo ancora di fronte il nostro popolo arrabbiato. E poi a me il film di Moretti è piaciuto molto».
Compreso il finale fosco, quasi da guerra civile?

«Non dobbiamo sottovalutare la gravità di quanto è accaduto al Senato, i fischi a Ciampi e agli altri senatori a vita, le parole incredibili di Berlusconi. Berlusconi non va sottovalutato. Mai».