Il pericolo dei ministri chiacchieroni
Lucia Annunziata su La Stampa del 26 Mag
Il rapporto fra politica e stampa è stato una questione molto acuta durante il governo Berlusconi. Non è chiaro che forma prenderà con il governo Prodi. Prevarrà nella nuova maggioranza la dialettica fra istituzioni diverse ma pari, o il sospetto verso un potere che si considera concorrente, se non addirittura ostile
Per un centrosinistra che ha vissuto gli anni dell'opposizione centrando la sua battaglia proprio intorno ai temi della libertà editoriale, la domanda non andrebbe nemmeno formulata. Ma la questione, cacciata dal portone, sta rientrando da un finestrino lasciato distrattamente aperto: la loquacità dei vari ministri e sottosegretari ha procurato più di una confusione e vari momenti di imbarazzo, al punto da far decidere al premier di non andare in tv, per «segnare un nuovo stile» nella comunicazione pubblica.
Romano Prodi ha fatto bene a porre il problema di come comunica un governo - e tuttavia non andare in tv per indicare il cambiamento è un po' come picchiare la suocera per non darle alla moglie. Intendendo con ciò dire che se è del tutto legittimo decidere quando, come e se, parlare con la stampa, la questione della coerenza di linguaggio di un governo non ha nulla a che fare con il giornalismo.
Il giornalismo infatti ha tante funzioni, può essere una presa d'atto, l'interlocutore reattivo, lo stimolo, il pungolo, o anche il tifoso. Ma i contenuti dell'azione pubblica può fornirli solo il governo stesso.
Andare in tv o dare una intervista è un «modo» della politica, non un contenuto in sé. Parlare con una sola voce per un governo non è, dunque, questione di stile e nemmeno, come pure si suggerisce, di un portavoce unico, ma solo di «cosa» si dice. Più che protagonismo, ingenuità o vanità (come si è detto e scritto) la loquacità di queste prime ore della coalizione sembra esprimere una consapevole lotta per lo spazio da guadagnare a idee diverse. Riesce piuttosto difficile immaginare personaggi di lunga navigazione, quali sono i 99 eletti, come dei novellini abbagliati dalla improvvisa visibilità. Davvero pensiamo che chi dice no Tav o no Pacs, o regolarizzazione di massa degli immigrati, non abbia idea degli effetti delle sue parole? Quello che sta succedendo appare in realtà come lo squadernamento pubblico delle molte mediazioni fatte per scrivere il programma, e la voglia di forzarne i limiti. Insomma, l'incrocio e la rincorsa alle dichiarazioni sa molto più di un anticipo di lotta politica che di mondanità.
Per questo è apprezzabile che il Premier abbia deciso di sollevare il problema. Ma la soluzione è nel rendere omogenea la compagine di governo, non nel negarsi ai giornalisti. Negarsi alla stampa significherebbe infatti alimentare quella vecchia cultura del sospetto nei confronti dei media che è una delle vecchie paure della sinistra, e che un governo che nasce nel 2006 ha il dovere di lasciare nel passato.
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