Se Casini strizza l’occhio
Marcello Sorgi su La Stampa 11 Mag
L'elezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica è davvero una buona cosa per l'Italia: dopo il settennato esemplare di Ciampi, era difficile delineare una successione che per biografia, autorevolezza e qualità della persona, si presentasse subito ai cittadini come un segno di continuità, e fosse in grado di accompagnare una fase nuova della difficile transizione italiana. Oltre a segnare, con l’ingresso del primo post-comunista al Quirinale, un fatto storico.
Anche lo scontro che ha preceduto l'elezione è stato contenuto: e se la maggioranza schierata a sostegno di Napolitano non è stata amplissima, coincidendo sostanzialmente con la forza parlamentare del centrosinistra, molto più largo è stato il consenso al nuovo Capo dello Stato, che due leader su quattro del centrodestra, Casini e Fini, sono stati a un passo dal votare, e a cui lo stesso Berlusconi ha voluto indirizzare un messaggio rispettoso.
La partita vera s'è svolta, di nuovo, all'interno delle coalizioni, che si sono divise e ricomposte al loro interno, misurandosi sulle diverse candidature, e scambiandosi segnali destinati, forse, a segnare politicamente l'inizio della legislatura. Le ipotesi erano due: candidare ed eleggere Massimo D'Alema con la spinta dei due maggiori partiti, Forza Italia e Ds, e l'appoggio degli altri; oppure trovare una candidatura - che poteva essere Amato, Marini o Monti, e poi, dopo la rinuncia di D'Alema, è stato Napolitano - concordata tra i due centri degli schieramenti e in particolare tra i due leader Rutelli e Casini. Alla fine né l'una né l'altra delle strategie ha prevalso, ma è la seconda che ha condizionato di più l'elezione, favorendo da parte del centrosinistra l'accettazione del veto su D'Alema e la conseguente caduta della candidatura, e spingendo l'intero centrodestra a una neutralità, più che a una vera opposizione, a Napolitano.
Una legge non scritta di tutte le corse al Quirinale s'è così riproposta anche nell'elezione dell'undicesimo Presidente: la maggioranza che elegge il nuovo Capo dello Stato può coincidere o collidere con quella che sorregge il governo, o in qualche caso anticiparne i cambiamenti. Se a Segni toccò il compito di frenare un passaggio troppo brusco al centrosinistra, Saragat, dopo di lui, ne fu il guardiano, mentre Pertini, eletto dal larghissimo fronte dei partiti della solidarietà nazionale, pilotò, assistendolo, il ritorno del Pci all'opposizione.
Poi da Scalfaro a oggi, non è un mistero, garantire insieme l'unità nazionale e la governabilità del Paese è diventato un compito più gravoso per i Presidenti della Repubblica. Il bipolarismo, d'altra parte, ha mutato l'equilibrio tra premier e Capo dello Stato a favore del primo; limitando la libertà d'azione del secondo. Se insomma sono i cittadini, con il loro voto, a decidere chi deve governare e chi deve stare all'opposizione, il Presidente, più che scegliere la formula di governo, deve essere pronto a fare da ammortizzatore delle fibrillazioni interne delle coalizioni, sorvegliando nel contempo che il confronto tra gli schieramenti non superi il livello di guardia. Rivelatosi drammaticamente negli anni di Ciampi, questo è il problema che s'è riproposto alla vigilia dell'elezione di Napolitano. Una parte della Casa delle libertà - Berlusconi, Forza Italia e in parte la Lega - ha lasciato intendere di esser pronta a favorire l'elezione di D'Alema in cambio di una disponibilità espressa a un'accelerazione dei mutamenti istituzionali in direzione di una forma di governo presidenziale e di un diverso equilibrio tra potere politico e magistratura. L'altra parte del centrodestra - Fini e Casini - s'è opposta, denunciando nell'intervista rilasciata da Fassino al Foglio per spingere la candidatura di D'Alema un segnale di disponibilità a questo progetto. Si è arrivati, quindi, all'aggancio tra Rutelli e i due esponenti dissidenti della Casa delle libertà, alla conseguente rinuncia di D'Alema (da lui stesso voluta in prima persona, con forte senso di responsabilità), e all'indicazione di Napolitano. La chiusura di Bossi, pur senza bloccare del tutto l'operazione, è stata determinante per il centrodestra. E il Presidente alla fine è stato eletto con i soli voti dello schieramento uscito vincitore dalle elezioni.
Quel che resta da capire è il peso, o lo strascico, di queste manovre iniziali, su una legislatura appena aperta, con un governo che deve ancora formarsi. Per Prodi, va da sé, la nascita, o la rinascita, di un asse Berlusconi-D'Alema come quello di dieci anni fa sarebbe stata più insidiosa dell'approdo a cui si è arrivati ieri. Ma anche se in nessun caso, né in Berlusconi e neppure negli occhieggiamenti di Casini e Fini verso il centrosinistra, si sono viste tentazioni trasformiste, inciuci o minacce di ribaltone, qualcosa è successo. E a nessuno potrà sfuggire, neppure al nuovo Presidente della Repubblica. A destra, chi voleva votare (o convincere Berlusconi a votare) per D'Alema, puntava a un equilibrio della legislatura costruito di nuovo sui due leader. Chi invece voleva votare Napolitano (e sotto sotto, magari, ha spinto qualcuno dei suoi a farlo), ha detto chiaramente che prima di tutto, nei prossimi cinque anni, punta ad emanciparsi dal Cavaliere.
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