Il Cavaliere al bivio
Massimo Giannini su Repubblica.it 9 Mag
Ben scavato, vecchia talpa.
A voler usare la metafora marxiana, si può dire che l'intelligente operazione politica lanciata dal centrosinistra con la candidatura di Napolitano al Quirinale sta per essere coronata dal successo. È quasi certo che domani il senatore a vita diessino diventerà presidente della Repubblica. Ma la novità dell'ultima ora è che l'ascesa al Colle del leader migliorista del vecchio Pci potrebbe avvenire addirittura oggi pomeriggio a larga maggioranza (i due terzi del Parlamento) grazie ai voti determinanti del centrodestra. Manca solo un via libera definitivo di Berlusconi.
La svolta, se c'è davvero, è ancora del tutto ipotetica. L'uomo di Arcore è abituato a cambiare idea in meno di un'ora. Figuriamoci cosa può succedere in un'intera notte. Con mezzo partito forzista che schiuma ancora di rabbia anti-comunista, e con la Lega che ha già predisposto il rito dell'estrema unzione per la Cdl. Ma se il terzo scrutinio di oggi dovesse riflettere le indicazioni emerse dal lunghissimo vertice del Polo di ieri sera, il prodigio si potrebbe compiere davvero. Per non perdere la faccia di fronte al mondo dopo aver negato pubblicamente l'esistenza di una "pregiudiziale anti-Ds", Fini e Casini sono quasi riusciti a convincere il Cavaliere a votare Napolitano, con tanto di maggioranza qualificata. Il prezzo da pagare, con una scelta contraria, è il più alto in politica: l'assoluta irrilevanza. Il ragionamento dei leader di An e Udc non fa una piega: "L'esperimento-Ciampi lo dimostra: meglio farlo subito, concorrendo all'elezione e cointestandosi il settennato insieme al centrosinistra".
Il Cavaliere si è quasi convinto. Ma all'ultimo momento, sul tavolo del vertice del Polo Umberto Bossi ha calato il solito asso di bastoni. "Se votate Napolitano, sappiate che per noi la Cdl è morta e sepolta". Di fronte all'ennesimo ricatto del Senatur, Berlusconi si è impaurito, e la trattativa si è nuovamente arenata. La notte porterà consiglio. Ma nel frattempo, un primo e parzialissimo bilancio politico di quanto sta accadendo si può già trarre. L'Unione può uscire rafforzata da questa prova. La sua mossa è riuscita. La candidatura di Napolitano ha ricompattato la coalizione. Ha restituito piena dignità alla Quercia. Ha riposto negli archivi della storia l'"interdetto comunista". Ha dimostrato che la maggioranza uscita vincitrice dal voto del 9-10 aprile non vuole imporre un "candidato di sfondamento", ma per la più alta magistratura repubblicana sa indicare un uomo delle istituzioni, una personalità di garanzia. Soprattutto, ha gettato lo scompiglio nelle file avversarie.
Ha fatto saltare gli equilibri interni alla Casa delle Libertà. Il Polo rischia di uscire a pezzi da questa contesa. Nel centrodestra si ripropone il mortale dualismo che ha marchiato a fuoco l'intera legislatura. Berlusconi e Bossi contro Fini e Casini. Ma mai come oggi, il Cavaliere è di fronte a un bivio. Deve scegliere, a partire dal test decisivo del voto sul Quirinale, tra due diversi modelli di destra. Da una parte c'è l'"intifada azzurra". Il no senza se e senza ma a qualunque candidato "che abbia il cuore a sinistra". La campagna rutilante e donchisciottesca contro i cosacchi immaginari che esistono nella sua mente, e purtroppo anche in quella di un pezzo di società italiana, da lui stesso astutamente alimentata a pane e insicurezza. La minacciosa e sovversiva jacquerie fiscale, che in una babele di linguaggi e di messaggi lo spinge a barattare l'elezione di un presidente con l'esazione delle tasse. Dall'altra parte c'è il "soccorso azzurro". L'idea che una scelta responsabile possa contribuire a trovare una via d'uscita bipartisan dalla palude italiana di questi giorni. La prospettiva di una piena e mutua legittimazione dei due schieramenti, non più assoggettati alla tragica ipoteca del Novecento. Il riconoscimento di una sconfitta elettorale che non è stata una disfatta, e che a maggior ragione obbliga il soccombente a stare in campo con la forza della politica, non con la disperazione dell'ideologia. Questo è l'incrocio che il Cavaliere si trova adesso sulla sua strada. Finora non ha scelto. Ha oscillato tra i due percorsi possibili.
Oggi gli è difficile imboccare il secondo, dicendo sì a Napolitano, dopo aver preso una folle rincorsa verso il primo, nel delirante comizio di domenica scorsa al Palafiera di Milano. Ma per l'uomo di Arcore cambiare rotta, stravolgendo gli schemi e facendo saltare i tavoli, non è mai stato un problema. A condizione che, almeno una volta, liberi se stesso e i suoi alleati dal furore della sequenza ideologica Pci-Pds-Ds, e dal terrore che dietro ogni quinta si nasconda lo spettro di D'Alema. Si tratta di capire, ancora una volta e come è già accaduto in questi lunghi cinque anni di governo, se il Cavaliere si fa scudo della Lega per tenere a bada An e Udc. Se usa la clava di Bossi per menare fendenti su Fini e Casini, frustrando le ambizioni ereditarie dell'uno e le mire neo-centriste dell'altro.
Si tratta di capire se punta scientemente a subire a ogni costo un Capo dello Stato votato solo dalla sinistra, per far lucrare a un'opposizione in assetto di guerriglia permanente un dividendo propagandistico di corto respiro. Oppure se è pronto a contribuire a una scelta di elevato profilo istituzionale, per ricostruire su questo atto fondativo un centrodestra moderno e bipolare con un progetto politico di lungo periodo. Come l'opposizione di ieri non poteva e non doveva essere cementata solo dall'odio antiberlusconiano, così l'opposizione di oggi non può e non deve essere amalgamata solo dal livore antidalemiano. L'Unione è tutto fuorché un'invincibile armata. Ma la talpa sta scavando. Stavolta il Cavaliere può dare una mano - prima di tutto a se stesso, e poi anche all'Italia - per uscire dal tunnel.
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