08 maggio, 2006

Ma per Silvio resta un ex Pci

Augusto Minzolini su La Stampa 8 Mag

Dietro al palco del Palalido Silvio Berlusconi, alla fine di una lunga discussione con gli altri leader del centro-destra, ha deciso di rindossare ieri mattina i panni dell’anti-politico.

«Sbrigatevela voi - ha detto a Pierferdinando Casini e a Gianfranco Fini che gli erano accanto -. A me tutti questi giochi fatti di incroci, nomi e rose non piacciono. Sono tutte pratiche da politici professionisti. Io non mi ci ritrovo. Fate voi. L’importante è un solo dato: che noi D’Alema non lo vogliamo».
«Per cui andiamo a trattare, ma non facciamoci coinvolgere troppo se la trattativa non porta a nulla». Il Cavaliere specie in questa fase preferisce i giochi chiari e vuole avere le mani libere. Non vuole farsi coinvolgere in nessuna operazione, oppure ci vuole stare dentro solo se ne vale la pena. Anche perché ha davanti a sé una campagna elettorale larga come un’autostrada, specie se i ds vorranno imporre per il Colle il nome di Massimo D’Alema. La cosa più importante per lui è che nessuno possa dire che il presidente dei Ds abbia avuto un voto dal centro-destra, o un suo aiuto: non per nulla ieri in quel mezzo vertice che si è svolto a latere del comizio unitario per la campagna elettorale di Letizia Moratti a Milano è stato deciso che se si arriverà allo scontro nel voto sulla candidatura D’Alema i parlamentari della Cdl o non ritireranno la scheda o se la metteranno in tasca senza riporla nell’urna, proprio per evitare scherzi dai possibili franchi tiratori di casa. Di più: ieri il Cavaliere ha avuto un diverbio anche con un vecchio amico come Fedele Confalonieri che l’altra sera, ospite nella trasmissione di Fabio Fazio, era andato troppo in là nei complimenti a D’Alema. Mentre Gianfranco Rotondi che l’altro ieri aveva messo in giro la “vulgata” di un Berlusconi si è beccato un «deficente» da Fabrizio Cicchitto.
Poi, sul palco, proprio per allontare da sé l’ombra di qualsiasi «inciucio» il leader del centro-destra ha sparato bordate ad alzo zero. «La proposta per il Quirinale di un politico di un partito di sinistra - ha tuonato - è indecente, da emergenza democratica... Se non ci sentiremo rappresentati nelle istituzioni non pagheremo le tasse, faremo uno sciopero fiscale... Se andranno avanti per conto loro guiderò in prima persona un’opposizione che non si è mai vista in Italia».
Insomma, per essere convincente Berlusconi è andato anche oltre il dovuto. Poi, visto che nella mattinata era uscita un’agenzia di stampa che annunciava un suo «veto» ad Amato, Berlusconi, spinto da Fini e Casini, ha dato mandato al solito Gianni Letta di telefonare al dottor Sottile per comunicargli che non c’è mai stato da parte del centro-destra un «no» sul suo nome. Non basta, proprio per togliere gli ultimi “alibi” a chi continua a dire che i suoi «veti» su tutti i rappresentanti della sinistra, di fatto, sono un «inciucio» camuffato per favorire D’Alema, l’ex-premier ha dato il suo «O.k.» alla presentazione di una «rosa» di candidati per il Quirinale su cui il centro-destra potrebbe convergere: Giuliano Amato, Franco Marini, Lamberto Dini, Mario Monti. Nel vertice di ieri mattina ha solo posto una condizione: «Non diamo l’annuncio durante la manifestazione perché i nostri militanti debbono sapere che stiamo facendo un’opposizione dura». E l’ipotesi della «rosa» è stata accettata anche da Umberto Bossi che ha, però, corredato il suo assenso con una richiesta: «Dobbiamo fare un ulteriore tentativo su Ciampi».
Così è nata l’idea del vertice di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi. Al tavolo si sono seduti per il centro-destra Letta, Casini e Fini. Per il centro-sinistra doveva essere lo stesso Romano Prodi, ma il Professore, saputo del “forfait” del cavaliere, ha inviato anche lui i suoi messi: Ricki Levi, Francesco Rutelli e Piero Fassino. E, come ogni sette anni, è cominciata un’altra fase della partita a scacchi per il Quirinale. Il primo a parlare è stato Fini che ha chiesto se l’Unione aveva altri nomi oltre a quello di D’Alema: «Essendo un capo partito troppo esposto - ha spiegato - il centro-destra non lo può accettare». Gli altri non hanno risposto e a quel punto il presidente di An ha fatto i nomi della “rosa” della Cdl nell’ordine: Amato, Dini, Marini e Monti. Fassino ha eccepito: «Non vedo ds: avete per caso un veto su ogni esponente diessino?». «No - è stata la risposta di Fini - se avete altri nomi fateli». E per mettere un’altra trappola sulla strada della trattativa il segretario della Quercia ha aggiunto: «Ma questa è la posizione condivisa da tutto il centrodestra?». A quel punto l’onere di replicare se lo è accollato Casini: «Sì, è la posizione dell’intero centro-destra. Anzi Berlusconi si è preso l’impegno di confrontarsi con la Lega su questi nomi».
Qui è finito il vertice tra i due poli e sono cominciate le grandi manovre che a tarda sera sono arrivate a Giorgio Napolitano, diessino, ma con un profilo istituzionale più marcato, visto che è senatore a vita ed è stato presidente della Camera. Ma il Cavaliere, che non ha mai capito che differenza passa tra un “migliorista” e un “comunista”, non accetterà. Le premesse non sono buone: «Noi - osservava ieri sera Fabrizio Cicchitto - ci siamo esposti su un nome come Amato che, nei fatti, ha una tessera ds visto che ha partecipato anche ai loro congressi. E loro ci rispondono con Napolitano come se nella loro testa per fare il presidente della Repubblica non basta essere un diessino, ma devi aver avuto la tessera del vecchio Pci. Tessera che, come si sa, Amato o gente come Giorgio Benvenuto, non hanno mai avuto. A quanto pare gente come loro dentro la Quercia sono trattati come figli di un Dio minore». E, a notte fonda, lo stesso Berlusconi a cena con Bossi ad Arcore, mentre il senatur annuiva, si è lasciato andare a questa riflessione: «Hanno un’idea delle istituzioni come quella delle lottizzazioni nel consiglio d’amministrazione Rai della prima Repubblica: e, a quanto pare, secondo il loro Cencelli, la casella del Quirinale deve andare un ex-pci».