Quirinale: si riapre lo spazio per il metodo Ciampi
Antonio Polito su Il Riformista 8 Mag
Napolitano, un candidato su un altro piano
Ci piacerebbe molto votare per Giorgio Napolitano. Mi piacerebbe votare per qualsiasi candidato del centrosinistra che avesse anche i voti dell’opposizione. Mi piacerebbe molto ripetere il metodo Ciampi. So che la pretesa di discutere di politica da parte di un parlamentare è un po’ ridicola, di questi tempi. Se tutto va bene, saremo convocati soltanto a poche ore dalla decisione più importante della legislatura per apprendere come votare, non per discutere.
Ciononostante ho passato una domenica di sollievo, nel vedere riaprirsi, seppur in modo confuso e ancora incerto, uno spazio di dialogo istituzionale tra i due poli. Perché se questa storia si dovesse concludere invece con l’elezione al Colle di uno di noi, fosse anche il migliore di noi, con i soli voti della maggioranza, non ci sarebbe molto da festeggiare. Non sarebbe un successo per il paese; e ciò che non è un successo per il paese non lo è per noi, che ci apprestiamo a governarlo.
Non ripeterò qui la litania dell’Italia divisa, del ruolo speciale che la nostra Costituzione assegna al capo dello Stato come interprete di quella unità nazionale che tanto abbiamo predicato in campagna elettorale; né mi arrischierò in previsioni su quanto a lungo e quanto pesantemente un capo dello Stato eletto solo da una parte dovrebbe sopportare la contestazione del peccato originale del suo settennato, visto che ci ha già pensato Berlusconi ieri a minacciare abbastanza sfracelli. Ricordo soltanto una cosa: che dopo l’esempio di Ciampi, quando accettò e quando rifiutò l’elezione, l’Italia considera l’ascesa al Colle come una chiamata, e non come una scalata. E noi commetteremmo un grave peccato di superbia se non ne fossimo consapevoli. Per gli elettori tra i 18 e i 25 anni, che ci hanno letteralmente assegnato la vittoria alla Camera capovolgendo il voto popolare del Senato, non c’è altro metodo conosciuto che il metodo Ciampi. Non hanno mai visto un presidente eletto a maggioranza che non fosse dei due terzi. Abbiamo spiegato loro che quella magistratura è diversa e superiore ai partiti, ai loro giochi e alle loro lotte di potere: «su un altro piano», come scrive Barbara Spinelli. Giorgio Napolitano è su un altro piano. Conosco l’obiezione che molti di voi hanno sulle labbra: ma perché se Berlusconi o Casini o Fini non votano per un nostro candidato la colpa della disunità nazionale è nostra? Perché è lo sconfitto l’arbitro di ultima istanza, magari ricorrendo alla minaccia di eversioni fiscali? Avete ragione: è molto probabile che Berlusconi non abbia in realtà nessuna voglia di votare chicchessia insieme a noi, proprio per poterci rinfacciare vita natural durante che ci siamo presi il Quirinale manu militari.
Ma, se così è, è meglio dimostrare agli elettori che noi ce l’abbiamo messa tutta, per votare insieme, e che solo la loro pregiudiziale ostinazione ce l’ha impedito. La proposta di Napolitano ha tutte la carte in regola per metterli alla prova: è un ds, ma un pezzo di storia repubblicana.
Sì, lo so: alcuni di noi sono sensibili alle sirene del giacobinismo, che cantano da destra e da sinistra, e avrebbero preferito la prova di forza. Tutti questi discorsi sulla politica che deve riprendersi lo scettro, sulla politica come puro scontro di potere, e alla guerra come alla guerra. C’è Rino Formica, che intendendo la politica come sangue e merda ne ritiene Amato indegno perché non abbastanza macchiato da entrambe; e c’è Giulianone, che è sempre in cerca di un amor suo, di un leader macho cui concedersi, perché questa è la cultura degli ex sessantottini, nelle cui assemblee nacque il mito moderno del leader; e c’è l’Oscar dei reparti speciali che su queste stesse colonne ci invita a non scegliere stinti bipartisan, perché a lui il politico piace tinto, di rosso, di azzurro, o semplicemente di tintura per capelli. Presi dalla passione del gioco (d’azzardo?), al posto dell’arbitro vedrebbero bene un giocatore. La politica è certo un campo avventuroso, e costoro l’insaporiscono col gusto tutto italico per l’avventura, per il blitzkrieg, per l’azione di forza, condotta con precisione chirurgica e tale da produrre shock and awe negli avversari. Così dicendo, hanno tentato di appiccicare all’oggetto della loro improvvisa infatuazione un’etichetta che D’Alema non merita, e che gli sarebbe costata un amaro settennato, se se la fosse lasciata appiccicare. D’Alema è stato un modernizzatore della politica italiana perché ha provato a unire. Ha inventato l’Ulivo dieci anni fa (sì, l’ha inventato lui); ha provato a rifare il sistema con la Bicamerale (sebbene silurato in extremis dal complice di Giulianone); ha provato a salvare una legislatura uccisa in fasce da Bertinotti (un altro che adesso l’incensa). Questo D’Alema ha i numeri per il Quirinale, non quel mago dell’intrigo politico che loro desiderano e disegnano. E io che l’ho festeggiato quando è stato eletto segretario, quando è stato scelto per la Bicamerale, e quando è diventato premier, lo festeggio ora per aver contribuito a una proposta istituzionale di alto profilo. Adesso tocca al centrodestra dire se davvero vuole un altro Ciampi. Adesso l’onere della prova non incombe più su di noi.
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