09 maggio, 2006

Lo strano caso di Amato

Angelo Panebianco su Corriere.it 9 Mag

La Quercia e i nomi
In attesa di sapere se davvero oggi avremo il nuovo presidente della Repubblica con il concorso dell'opposizione, si può osservare che questa vicenda ha già rivelato cose significative. Ha rivelato l'esistenza di un veto diessino (non dichiarato) su Giuliano Amato, fino a poche settimane fa indicato da tutti come il naturale candidato dell'Unione per la presidenza, quello che anche il centrodestra avrebbe votato. Dopo avere sostenuto a lungo la candidatura unica di Massimo D'Alema, messi di fronte a una controproposta della Casa delle Libertà che indicava una rosa di nomi (fra i quali, appunto, Amato), i Ds hanno immediatamente replicato candidando Giorgio Napolitano, degnissima persona e anche dotato di un profilo istituzionale più che adeguato per ricoprire il ruolo.Ma Amato no. Lo hanno fatto scivolar via nel silenzio.
Sembra di capire, perché non è dei loro, non è un diessino. Questo è un fatto singolare. Amato, a tacere del resto, è l'attuale vicepresidente del partito socialista europeo, formazione della quale i Ds fanno parte. A ben quattordici anni da quando entrarono nell'Internazionale socialista e dopo una ormai lunga milizia nel partito socialista europeo, i diessini faticano tuttora a considerare «dei loro» un socialista il cui profilo politico-culturale, a ben guardare, non è poi così lontano da quello di Napolitano. Perché? I comportamenti fin qui tenuti danno la sensazione che i Ds si percepiscano come un «grande malato». Hanno ottenuto, come partito, un risultato elettorale poco entusiasmante. Si sono visti sottrarre la presidenza della Camera dall'abile e sornione Fausto Bertinotti. Come capita alle organizzazioni che si sentono minacciate hanno reagito freneticamente (una sorta di over-reaction, di reazione all'eccesso) pretendendo la Presidenza della Repubblica, come se le trattative per quell'ufficio, data la sua natura, non obbligassero a mettere in campo anche considerazioni diverse dall'interesse di partito.
È vero che i Ds, primo partito della coalizione, sono assai sacrificati, non avendo espresso il premier. Però, va loro ricordato che essi hanno dimostrato di essere i primi a credere tuttora nella persistenza del «fattore K». Non è questa l'unica ragione per la quale hanno riproposto, come nel 1996, l'anomalia di una coalizione il cui leader non è espressione del partito di maggioranza? Se la prossima volta presenteranno un loro uomo come candidato premier e vinceranno, non ci saranno le attuali difficoltà. Al fondo, sembra esserci lo stesso irrisolto problema che i Ds si trascinano dietro da un quindicennio, quello della loro identità. Un problema che non è stato risolto fino in fondo in quattordici anni (e sono tanti) di appartenenza all'Internazionale socialista. Un problema che rischia di affossare anche il progetto del partito democratico.
Non è questa, sia chiaro, la solita, ormai ridicola, richiesta di nuove abiure. Per giunta, ci sono aspetti che i Ds hanno ereditato dalla antica appartenenza (come, nei migliori di loro, la serietà personale e il realismo politico) apprezzati anche da quelli che, come chi scrive, non furono mai teneri col Pci. È invece questione di avere uno scatto di reni, abbandonare vecchi codici, non contare più solo su solidarietà personali nate in un'altra stagione politica. Senza di che, la questione dell'identità dei Ds rimarrà irrisolta danneggiando loro e noi tutti.
Angelo Panebianco