14 maggio, 2006

E adesso serve un governo che sappia governare

Eugenio Scalfari su Repubblica.it 14 Mag

I Presidenti passano, la Repubblica resta. Ma c'è presidente e presidente anche perché quello previsto dalla nostra Costituzione è una figura a parte rispetto agli altri Paesi fondatori della Comunità europea. Altrove infatti il capo dello Stato è una figura esclusivamente rappresentativa. Non ha alcun potere effettivo se non quello di presenziare e registrare con la sua presenza gli accadimenti pubblici di rilievo. Le firme che appone in calce ai documenti di Stato sono "dovute", punto e basta.
Fa eccezione la Costituzione gollista tuttora in vigore in Francia, dove il capo dello Stato ha prerogative "presidenziali" e dispone direttamente del governo tutte le volte in cui la maggioranza parlamentare sia dello stesso colore di quella presidenziale. Quando ciò non avviene c'è coabitazione tra governo e presidenza della Repubblica alla quale restano comunque le attribuzioni riguardanti la politica estera e quella della Difesa.
Il caso italiano è intermedio tra quello francese e i capi di Stato puramente e rigorosamente notarili degli altri Paesi europei. Il nostro infatti non ha alcun potere diretto ed esclusivo (salvo la grazia, la nomina dei senatori a vita e quella d'una quota dei componenti della Corte Costituzionale). Infatti non ha responsabilità politica. Ma detiene tuttavia alcuni poteri "indiretti" che esercita in vario modo: può rinviare leggi ad un secondo esame parlamentare, può negare la firma su decreti-legge, coordina i vari organi costituzionali, presiede il Consiglio della magistratura e quello di Difesa, garantisce il rispetto della Costituzione.
Si tratta dunque d'una figura complessa, le cui attribuzioni consentono un'interpretazione e quindi una notevole dose di discrezionalità. Per questo diciamo che c'è presidente e presidente. C'è stato chi ha schiacciato di più un pedale invece d'un altro, chi più si è attenuto al modello notarile e chi ha accentuato quello presidenzialista entro i limiti che la Costituzione consente.
A giudizio di gran parte della pubblica opinione, il presidente che meglio si è tenuto nel giusto mezzo di queste diverse interpretazioni costituzionali è stato Ciampi. Proprio per questo ha riscosso per tutto il suo settennato un indice di popolarità che ha sfiorato l'unanimità e che ha fatto dire a molti che la pretesa spaccatura dell'Italia in due è una fandonia. Purtroppo le cose non stanno esattamente così e la spaccatura esiste ed è profonda. Ma c'è un minimo comune denominatore, rappresentato appunto dalla presidenza Ciampi e dal modello che egli lascia ai suoi successori.
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Nei giorni scorsi i giornali - e il nostro in particolare - hanno ricevuto numerose richieste da parte dei lettori di un giudizio sul nuovo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. I giornali interagiscono con il loro pubblico, ne sono la voce, lo influenzano e ne sono influenzati.
È perciò normale che di fronte ad eventi di speciale importanza quel dialogo si ravvivi e sbocchi in un giudizio di merito. Ebbene, non dico nulla che già non sia noto: noi riteniamo ottima la scelta del nuovo capo dello Stato. Per molte ragioni. Anzitutto per la sua integrità morale e intellettuale. Poi perché, essendo stato dirigente di alto rango del Partito comunista, la sua presenza al Quirinale fa cadere definitivamente quella "conventio ad excludendum" degli epigoni del Pci dall'esercizio di funzioni pubbliche che ancora si annida in alcuni settori della politica italiana senza più alcuna ragione di esserci e certifica l'avvento d'una democrazia compiuta che almeno dal 1989 è stato uno degli obiettivi di chi ha a cuore il consolidamento delle nostre istituzioni.
Infine - e questa è per noi la motivazione principale del nostro giudizio - perché Giorgio Napolitano, per carattere, biografia politica e cultura, è il più vicino al modello Ciampi e alla sua interpretazione del ruolo presidenziale. Non sarà certo una copia del suo predecessore ma ne adotterà la misura, l'equilibrio e la vocazione a mantenere quella funzione al di sopra delle parti avendo di mira esclusivamente il pubblico interesse, l'ordinato esercizio del governo e dell'opposizione, lo stato di diritto e la forza viva e dinamica del dettato costituzionale. E perciò, con una frase che in questo caso non è rituale né retorica, diciamo "viva il presidente della Repubblica", garante di tutti al di sopra dello spirito di fazione.
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Resta ora il problema del governo. Problema cruciale poiché l'eredità che la passata legislatura lascia a quella testé iniziata è molto pesante e richiede cure urgenti e per certi aspetti contraddittorie nel settore dell'economia, del mercato del lavoro e nel delicatissimo campo delle comunicazioni. Prodi, a quanto si sa, sta risolvendo la composizione della lista dei ministri. Alcuni punti sono già acquisiti: ci sarà Padoa Schioppa all'Economia e D'Alema agli Esteri. È probabile ed auspicabile che le Finanze, accorpate all'Economia, siano affidate a persona di alta competenza e con la necessaria autonomia operativa: si tratta infatti di implementare le entrate dello Stato per far fronte alla necessità di rilanciare la crescita e al tempo stesso di raddrizzare il deficit e invertire la tendenza all'aumento del debito pubblico. Il lascito del precedente governo è molto negativo come appare dalle più recenti cifre fornite dalla Commissione di Bruxelles e dal Fondo monetario internazionale. La spesa corrente è passata dal 2001 al 2006 da una percentuale di 37,6 in rapporto al Pil al 40,5 con un aumento di 3 punti di Pil: aumento pesantissimo che va sicuramente bloccato e possibilmente ricondotto indietro.
Contemporaneamente l'avanzo primario al netto degli interessi sul debito è crollato nello stesso periodo dal 3,2 a meno 0,5. Le spese in conto capitali, cioè il complesso degli investimenti pubblici, è rimasto fermo nel quinquennio al 4,2 e questa è la prova più eloquente del mancato rilancio degli investimenti nelle infrastrutture ordinarie e straordinarie. Nel contempo il rapporto deficit/Pil, che misura il rispetto del patto europeo di stabilità, si è collocato nel 2005 al 4,1 e minaccia di arrivare - a parità di legislazione - al 4,5 nell'anno in corso. Alcune fonti non ufficiali ma molto attendibili prevedono che tale rapporto arriverà addirittura a superare il 5 per cento, livello estremamente elevato e tale da provocare interventi drastici da parte delle autorità europee.
Il leggero miglioramento congiunturale che si è registrato nel primo trimestre di quest'anno è indubbiamente un segnale positivo ma ancora labile e comunque insufficiente a far fronte al pesantissimo fardello finanziario ereditato dal precedente governo e alle esigenze urgenti di rilanciare la crescita e la competitività del sistema.
Da quest'ultimo punto di vista è noto che la parte imprenditoriale raccomanda che la legge Biagi non venga abolita, per dire che non si regredisca dalla flessibilità alla rigidità del mercato del lavoro. La polemica che alcuni giornali stanno montando su questo punto sembra però del tutto impropria. Prodi ha detto chiaramente e più volte ha ripetuto che la flessibilità di accesso al lavoro non verrà revocata. La lotta al precariato comincerà solo dopo i primi due anni di flessibilità e si baserà su una manovra graduale di incentivi e disincentivi per favorire lo sbocco verso contratti a tempo indeterminato che sono nell'interesse di tutti. In più bisognerà varare un sistema di ammortizzatori sociali che il libro bianco di Biagi presupponeva e che lo stesso governo Berlusconi aveva pattuito con Cisl e Uil nel cosiddetto patto Italia, ma che non fu mai attuato.
Dov'è dunque il problema? Questa è la politica del lavoro programmata dall'Unione e dal governo Prodi. Non l'abolizione della legge Biagi ma il suo completamento necessario e già previsto nel libro bianco del suo ispiratore. In più la semplificazione di alcune forme contrattuali che l'esperienza ha rivelato inutili o dannose.
Questo complesso di problemi che definire drammatico è dir poco, comporta un governo forte e coeso e una coalizione che guardi all'essenziale e lo persegua con limpida tenacia. Non c'è posto per rivalità di cortile e per visibilità di pura apparenza partitocratica. Da questo punto di vista Prodi ha una grande responsabilità. Gli strumenti per farsi valere non gli mancano, a cominciare dal dettato costituzionale che vede nel presidente del Consiglio la sola fonte di proposta dei ministri. Ma al di là dei poteri esclusivi che la Costituzione gli riconosce nella composizione del governo, milita a suo favore la drammaticità della situazione economica e l'urgenza di porvi riparo.
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Mi sembra soltanto giusto ricordare qui, in calce a questa nota, il contributo di saggezza politica offerto alla coalizione di maggioranza da Piero Fassino. Intanto per essere stato soprattutto lui a costruire la candidatura vincente di Giorgio Napolitano. Poi per la decisione dell'altro ieri, di restar fuori dal governo per occuparsi del partito e della costruzione, insieme al gruppo dirigente della Margherita, del futuro partito democratico.
Su questa prospettiva incombono molte perplessità e talune opposizioni. Se esse avessero il sopravvento lo sbocco unitario delle varie anime del riformismo verrebbe bloccato con grave danno per tutta la sinistra italiana. La decisione di Fassino di privilegiare quell'obiettivo lasciando ad altri le responsabilità di governo merita dunque di essere apprezzata. Così pure la presenza di D'Alema nel ministero a conclusione di una vicenda che può avergli causato qualche amarezza ma che si è conclusa comunque nel modo migliore per il paese. Chi concepisce la politica come pubblico servizio dovrebbe sentirsi appagato da questa consapevolezza ed è ciò che alla fine ci sembra essere avvenuto.
Mentre scrivo queste righe non so se Giuliano Amato accetterà l'offerta di far parte del ministero in una posizione di adeguato rilievo. Ci auguriamo che la sua presenza non manchi. Amato è stato ed è un talento politico che accoppia moralità e competenza, autorevolezza e dedizione al pubblico interesse. Ne ha dato molte volte la prova nel corso degli anni. Mai come oggi quelle qualità servono e vanno utilizzate.