L’uomo che sopravvisse alla prima Repubblica
Luigi La Spina su La Stampa 12 Mag
La straordinaria carriera di un servitore dello Stato gentile come un nobiluomo e furbo come un levantino.
Anche lui era un emigrante e aveva la valigia di cartone. Quando arrivò dalla natìa terra pugliese a Roma, negli anni del primo dopoguerra, amava soprattutto due spettacoli: quello del teatro, che frequentava come assiduo claqueur, e quello delle aule parlamentari, che spiava dall’alto delle tribune. Figlio di un bibliotecario di provincia, poteva soddisfare così gratuitamente le sue passioni, alle quali è rimasto sempre fedele. Alla prima ha coltivato anche un figlio che è diventato attore, alla seconda ha dedicato la sua vita. Don Gaetano, di cui per primo il padre intuì la sua massima virtù, soprannominandolo «Prudenziano», è il tipico uomo di Stato italiano. La nostra storia unitaria ha ereditato, in fondo, solo due vere burocrazie, quella sabauda e quella borbonica, poiché la migliore di tutte, quella del Lombardo-Veneto, era austriaca. Gifuni l’ha ereditate insieme, fondendo l’obbedienza militar-diplomatica della prima con la sapienza umana, fantasiosa ed accattivante, della seconda. Meridionale lo è fino alle midolla, con i più tipici clichè del luogo comune: circondato da amuleti e da rossi cornetti, è accanitamente superstizioso, nella più alta tradizione del suo filosofo prediletto, Benedetto Croce. Sempre coperto da palandrane nere e candide sciarpe, teme gli spifferi d’aria e ama, invece, quelli politici che racconta con arguzia da vero teatrante. Ha il terrore dell’aereo, avendo avuto il suo battesimo dell’aria solo dopo i cinquant’anni. Come racconta in un brillante ritratto Massimo Franco, nel libro «Il re della Repubblica», è gentile come un nobiluomo del Sud, abile e furbo, come un mercante levantino, saggio e scettico, come un napoletano di Eduardo. Su queste doti, coniugate con il supremo talento di incantatore di uomini e di navigatore tra pandette e codicilli, ha costruito in cinquant’anni la più straordinaria carriera di servitore dello Stato che l’Italia repubblicana abbia finora conosciuto.
Lo studente di provincia
Il suo viaggio all’interno di quei palazzi che osservava con giovanile stupore di provinciale studente universitario, comincia, dopo una brevissima esperienza all’Unioncamere e alla Confindustria, al Senato. E’ questa, in realtà, la sua vera casa. A Palazzo Madama segue la grande tradizione dei suoi maestri Nicola Picella e Franco Bezzi, entrambi segretari generali e ne diviene dominus assoluto. Un aneddoto, poco conosciuto, è rivelatore. Quando Fanfani, nel 1987, lo nomina ministro per i Rapporti col Parlamento, per tre mesi di governo balneare, don Gaetano riesce a non far nominare nessuno al suo posto di segretario generale del Senato. Terminato il suo compito ministeriale, ritorna a Palazzo Madama con la sua macchina di servizio e al portiere che lo saluta chiede: «Spadolini è in sede?». Assicuratosi della presenza del presidente del Senato, sale nel suo ufficio e, senza avvertirlo, comincia tranquillamente a lavorare, come se quei tre mesi non ci fossero stati. Né alcuno, dal supremo vertice di Palazzo Madama fino all’ultimo senatore, osa ricordargli un’assenza che, in realtà, evidentemente non era mai stata avvertita.
La stima di Scafaro
Fu proprio la conoscenza e la stima che il ministro dell’Interno di quel breve gabinetto Fanfani, Oscar Luigi Scalfaro, ebbe per don Gaetano a consentirgli l’approdo al Quirinale. Alla Presidenza della Repubblica, Gifuni compie una vera e propria metamorfosi: conservando la gentilezza e la diplomazia dell’antico «Prudenziano», sfodera una fermezza e una abilità che non aveva ancora potuto dimostrare. Crolla quella prima Repubblica alla quale sembrava non potesse sopravvivere una figura felpata come la sua. Ma lui dimostra di poter reggere anche i ferrei tempi della seconda. Sfoglia con Berlusconi il calendario delle ipotetiche elezioni anticipate del ‘95 e poi favorisce l’avvento del governo Dini, il famoso «ribaltone». Fronteggia con Scalfaro, a suon di silenzi eloquenti e di fragorosi «signor no», le accuse di Mancuso e quelle sui fondi del Sisde. Quando le polemiche non si rivolgono al Presidente della Repubblica, ma direttamente a lui, come la campagna dell’«Espresso», nel 1999, sugli eccessivi emolumenti al segretario generale e agli altri funzionari del Quirinale, respinge l’offensiva con l’assoluto mutismo: sa che la risposta alimenta lo scandalo e il turnover degli avvenimenti è il suo migliore alleato.Con Ciampi, infine, don Gaetano inaugura la sua terza metamorfosi: da combattente a «cuscinetto» tra Quirinale e Palazzo Chigi, dove ritorna un difficile inquilino, quel Berlusconi che del famoso calendario non sembra essersi dimenticato. La coppia Gifuni-Letta, in realtà, gestisce lo Stato negli ultimi cinque anni: sorveglia e corregge il testo delle leggi, piazza gli uomini nei principali gangli del potere, guida gli apparati burocratici nei più delicati affari della Repubblica. E forse era inevitabile che lo sfratto dai due palazzi arrivasse, pure lui, in coppia.
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