13 maggio, 2006

Che illusione la ripresa senza riforme

Tito Boeri su La Stampa 13 Mag

E’ cresciuta più del previsto l’economia italiana nel primo trimestre del 2006, portando con sé anche un forte incremento delle entrate da imposte indirette. Ma non illudiamoci né sulla ripresa, né sul miglioramento dei conti pubblici. Il Paese è in declino. La misura di questo stato della nostra economia è la caduta di quella che, nel gergo degli economisti, si chiama crescita del prodotto potenziale, il ritmo a cui un’economia può crescere per lunghi periodi di tempo. Non può essere certo un trimestre fortunato (lo era stato anche il secondo trimestre del 2005, poi terminato a crescita zero) né un grottesco titolo del «Foglio» a decretare la fine del declino.
Sarebbe un errore gravissimo per il governo che entrerà in carica la prossima settimana ripetere l'errore dell'esecutivo che l'ha preceduto: illudersi che possano venire tempi migliori senza riforme strutturali della nostra economia. I dati resi noti in questi giorni dall'Istat semmai non concedono alcun alibi al nuovo governo. Permettono, infatti, di non dovere passare tempo a ricercare consenso attorno a misure tampone, riducono le pressioni per varare una manovra aggiuntiva nel 2006. Tutti gli sforzi potranno essere riposti nel mettere in atto quegli interventi di liberalizzazione dei mercati di cui si fa ampio cenno nel programma dell'Unione. Si potranno anche avviare subito tavoli di confronto, fissando per questi un tempo limite, dettato dallo stato di emergenza della nostra economia, entro cui giungere ad un accordo.
Cento giorni devono bastare per siglare con gli enti locali un nuovo patto di stabilità interno volto a contenere la spesa pubblica, per concordare con le parti sociali la revisione dei coefficienti di trasformazione utilizzati nel calcolo delle pensioni future (altra «patata bollente» lasciata in omaggio dal passato esecutivo) e le misure contro il precariato e per accelerare il decollo della previdenza integrativa. E’ interesse del governo varare al più presto questi provvedimenti perché il dividendo di crescita di queste riforme è destinato a manifestarsi solo fra qualche anno.
Affinché paghino alla prossima tornata elettorale, queste riforme devono essere fatte subito. Anche la maggioranza risicata al Senato di cui può godere la nuova maggioranza non può essere un alibi per una strategia attendista. Al contrario, il governo può riuscire a spostare sulle proprie posizioni settori della minoranza, migliorando i propri numeri al Senato, solo nei prossimi 18 mesi. Per farlo dovrà mostrare a tutti la propria voglia di fare e innovare. Neppure la cosiddetta spaccatura in due del Paese (fisiologica in ogni regime bipolare) impedisce le riforme. Al contrario, il centro-sinistra può sfruttare il fatto di avere raccolto consenso soprattutto fra giovani e lavoratori dipendenti per attaccare le posizioni di rendita che sono presenti in molti servizi, nel lavoro autonomo e nelle libere professioni e per cercare di avere orizzonti lunghi, dedicando la giusta attenzione ai problemi della scuola e dell'università.
L'elettorato di riferimento del nuovo governo si sentirebbe tradito se la scelta per il ministero dell’Istruzione e dell’Università dovesse essere una volta di più dettata da criteri residuali, nel tentativo di accontentare qualche componente della maggioranza rimasta poco rappresentata nelle trattative sulla composizione dell'esecutivo. Non si può affidare la ricerca e il capitale umano delle generazioni future a chi intende salvaguardare lo status quo, a dispetto della profonda crisi dell'università e della scuola italiana.
Per tutti questi motivi il governo potrà e dovrà, per sopravvivere, avere orizzonti lunghi, molto più lunghi dell’esecutivo che l’ha preceduto. La stessa operazione sul cuneo fiscale, il taglio delle tasse sul lavoro, su cui Prodi si è molto impegnato, potrà servire a stimolare l'economia solo se anticamera di riforme che guardino molto più in là. Altrimenti sarà come offrire una sola boccata d'ossigeno a chi sta nuotando a cento metri di profondità. Senza riforme strutturali il taglio del cuneo sarà come una delle tante svalutazioni competitive condotte negli Anni Settanta e Ottanta e che sono servite solo a celare l’incapacità della nostra classe dirigente di pensare al futuro del nostro Paese.