02 maggio, 2006

Salamandra Giulio

Eugenio Scalfari su L'Espresso 2 Mag

Per me il peccato maggiore di Andreotti non è tanto l'intrinsichezza con Salvo Lima e con i palazzinari ma la cultura del Bagaglino. Se il futuro del nostro paese è ancora in queste mani, siamo perduti.
Rieccolo! Un tempo si diceva per Fanfani, per le sue frequenti riapparizioni al vertice del potere politico dopo periodi di silenzio e di oblio, tre o quattro volte alla testa del governo e altrettante alla presidenza del Senato. Ma poco più che un apprendista rispetto a Giulio Andreotti.

Fanfani del resto aveva convinzioni assai ferme e comportamenti conformi e coerenti con esse. La sua posizione politica fu di centrosinistra e nel sociale e in politica estera più sinistra che centro. Andreotti è stato tutto, ha spaziato su tutto l'arco della politica con un libertinaggio senza eguali, senza mai far parte d'uno schieramento e privilegiando l'approccio personale, da Salvo Lima e dai mafiosi fratelli Salvo, esattori delle tasse e concessionari dello Stato, a Tonino Tatò, ambasciatore berlingueriano ai tempi dei governi di unità nazionale; da Nino Rovelli a Girotti ai tempi della guerra chimica contro Cefis; da Sindona ai fratelli Caltagirone, palazzinari d'eccellenza, dall'alleanza con De Mita e Gava al Caf con Craxi e Forlani.
Fanfani fu capocorrente e capopartito, lui invece al partito preferiva la clientela trasversale e la flessibilità. 'Flectar non frangar' è stato il suo motto e, ormai più vicino ai novant'anni che agli ottanta, tale è rimasto. Una salamandra resistente al fuoco. Una sola passione: quella del potere. Potere senza programma. Ma un potere discreto, niente apparenza e tutta sostanza, centinaia di migliaia di schede personali, di raccomandazioni, di voti di preferenza alle elezioni. La cura ossessiva del collegio. Contatti silenziosi con i servizi segreti. Diplomazia sotto traccia. Cinismo a 24 carati. Battute fulminanti e luoghi comuni intrisi di ironia. Minimalismo come metodo. Evangelisti come mandatario. Ciarrapico come rappresentante 'in partibus'. Il Bagaglino, come teatro personale e Pippo Franco come amico e buffoncello di corte.
Proprio Pippo Franco è stato il suo più recente capolavoro: il 9 aprile avrebbe dovuto scegliere se votare per il centrodestra o per il centrosinistra. Ha scelto di votare dove Pippo Franco si presentava e cioè a destra, ma soltanto in omaggio all'amicizia e non alla politica. Pippo non è stato eletto ma lui, il divo Giulio, quel voto l'ha dato. I destinatari se lo sono scritto in memoria.
È un cattolico? Sì, naturalmente. Un certo tipo di cattolico. Frequenta assiduamente la messa, senza fragore. Prega. Oppure riflette e sembra che preghi, chi lo sa. Diciamo: è un cattolico datato, dei tempi di papa Gregorio (quello di Gioachino Belli) e del marchese del Grillo. Diciamo ancora: per Alberto Sordi era un mito. Certo Pippo Franco non è Alberto Sordi. Sfumature. Per me il suo peccato maggiore non è tanto l'intrinsichezza con Salvo Lima e con i palazzinari ma la cultura del Bagaglino. Una imperdonabile pecca agli occhi d'un radical-chic, che mi consente di dire 'not in my name' quando ci viene presentato come colui che tutti ci rappresenta.
La novità di questi giorni non è l'offerta che gli è stata fatta da tutto il centrodestra di essere il candidato 'super partes' alla presidenza del Senato, ma la sua accettazione. L'intervista rilasciata sabato scorso al Tg5 è un capolavoro di andreottismo, appena appena forzato dall'età. L'età è impietosa come la televisione con le rughe sotto gli occhi delle ex belle donne. Quell'intervista infatti è talmente scoperta da sembrare la caricatura dell'andreottismo. Forse se avesse ancora settant'anni non l'avrebbe mai data. Non così, almeno.
Gli chiede l'intervistatore: "Che effetto le ha fatto essere stato richiesto di presiedere il Senato?"; risponde: "Mi ha fatto piacere. Al Senato ci sto da tanto. Mi piace. Mi piace vedere come lavora e mi piacerebbe poter gestire per qualche tempo quel lavoro. È vero che alla mia età si pensa piuttosto ad altri appuntamenti, ma insomma c'è spazio per tutto".
Gli osservano: "Alcuni settori della sinistra sono contrari alla sua candidatura"; risponde: "È normale, anzi è bene che ci sia qualche contrasto, io sono contrario all'unanimismo". "Dunque accetterebbe anche se tutto il centrosinistra fosse contrario?"; risponde: "Farebbero un errore. Dovrebbero utilizzarmi come un'apertura, uno strumento di pace". "E Marini?"; risponde: "Marini è una brava persona. Un buon sindacalista e un buon cattolico. Ma al Senato c'è appena entrato. Mi lasci lavorare per un po', poi me ne andrò altrove e magari gli lascerò il posto".
Ecco. Andreottismo puro. Anzi un'autocaricatura inconsapevole. Se il futuro del nostro paese è ancora in queste mani, siamo perduti.