05 maggio, 2006

Sì a D'Alema

Piero Ostellino su Corriere.it 5 Mag

Ma la garanzia sta nel suo realismo.
Ci sono alcune buone ragioni, anche da parte di un liberale, per votare Massimo D'Alema presidente della Repubblica.

La prima, che è stato sulle ginocchia di Togliatti, cioè ha assimilato, sotto il profilo del «metodo», il solo tratto del comunismo italiano apprezzabile agli occhi di un liberale: il realismo. Egli non è uno che, di fronte alla contraddizione fra essere (la realtà) e dover essere (l'utopia) dica «tanto peggio per la realtà». Anche se lui, forse, non lo sa, si chiama «legge di Hume (David)», che era un filosofo liberale del Settecento. Per D'Alema, Berlusconi, Mediaset, il centrodestra non sono un' anomalia, ma il dato di una società articolata con il quale convivere. Poiché ciò che separa ancora la cultura politica di una certa sinistra da quella liberale è, soprattutto, «la questione del metodo», non mi pare garanzia da poco.
La seconda ragione per votarlo, che non è né anti-americano né giustizialista. A fianco degli americani ha già fatto una guerra (quella del Kosovo) e con i girotondini si è scontrato (in un celebre dibattito a Firenze). Come capo dello Stato, sarebbe, oltre che rappresentante della Nazione sul piano internazionale, anche capo delle Forze armate e presidente del Consiglio superiore della magistratura, il che a me pare un'ulteriore garanzia.
La terza, che — pur avendo giurato fedeltà alla Costituzione vigente — non sarebbe chiuso, lo ha dimostrato come presidente della Bicamerale, a una sua riforma (compresa la Prima parte) di cui si avverte forte l'esigenza.
La quarta ragione, che, con la sua elezione a presidente della Repubblica, si concluderebbe finalmente la lunga transizione dal «fattore K» (la conventio ad excludendum del Pci e dei suoi nipotini) al «fattore D» (la democrazia compiuta). Al Quirinale salirebbe, sì, un ex o post comunista che dir si voglia, ma anche un riformista di stampo europeo, aperto alle logiche del capitalismo, del mercato e della globalizzazione.
La quinta ragione, che appartiene alla generazione post-resistenziale e, in quanto tale, non è incline al «reducismo», bensì è più propenso a sentirsi cittadino di una moderna democrazia che protagonista o erede del solo mito retorico del quale gli italiani non si debbano vergognare, la Resistenza. (Come gli spagnoli, che hanno felicemente chiuso la parentesi della loro guerra civile, ben più cruenta dei prodromi della nostra postbellica; o i francesi, che non citano mai il maquis, laloroResistenza, per legittimare la nuova democrazia, meglio sarebbe dire l'eterna Nation, dopo la vergogna di Vichy e del lungo e tragico periodo «collaborazionista» con i nazisti).
La sesta ragione per votare D'Alema presidente della Repubblica, che la sua elezione aprirebbe, probabilmente, la strada a Piero Fassino come ministro degli Esteri, ridando voce ai riformisti, oggi afoni, e riequilibrando la coalizione, troppo sbilanciata a sinistra. Entrambi compenserebbero, con una iniezione di atlantismo, sia l'ambigua equivicinanza fra Israele e i palestinesi e l'opaco tardo-europeismo franco-tedesco di Prodi sia, soprattutto, l'anti-americanismo e l'anti-israelismo della sinistra radicale.
Il presidente dei Ds, è vero, dovrebbe cercare d'essere un po' più amabile, rinunciare al sarcasmo, smetterla di voler sempre mostrare d'essere il miglior fico del bigoncio. Che lo sia lo si sa. Del resto, è per questo che anch'io, liberale, lo voto.