No a D'Alema
Angelo Panebianco su Corriere.it 5 Mag
Il garante di tutti va scelto insieme
Se fosse eletto presidente della Repubblica Massimo D'Alema adempirebbe bene ai doveri dell'ufficio. Tuttavia ci sono almeno due solidissime ragioni che rendono sconsigliabile la sua scelta come candidato dell'Unione alla Presidenza.
La prima ragione è che la sua elezione potrebbe avvenire solo con il voto contrario dell'opposizione. La maggioranza uscita vincente dalle urne dovrebbe eleggerselo da sola, essendo poco probabile che il Polo si faccia convincere dagli argomenti, pur suggestivi, che soprattutto Il Foglio di Giuliano Ferrara ha avanzato in questi giorni per dimostrare la convenienza politica di un voto del centrodestra a favore di D'Alema. Il centrodestra reputa irricevibile la candidatura D'Alema e, a meno di cambiamenti di orientamento dell'ultimora, non lo voterà. D'Alema sarà dunque il candidato imposto dai vincitori. La minoranza avrebbe buon gioco a gridare al «regime», di fronte all'occupazione di tutte le alte cariche, compresa quella, di garanzia, della presidenza, da parte della maggioranza. Eleggere il presidente a colpi di maggioranza è sconsigliabile sempre. Figurarsi nelle condizioni in cui si trova (stavo per scrivere: «versa») la nuova maggioranza, vincente per il rotto della cuffia, per una manciata di voti, e che dovrà dimostrare con i fatti di essere davvero, al Senato, una maggioranza non solo formale, ma operativa, reale, nella vita parlamentare ordinaria. Una maggioranza siffatta non può permettersi il lusso di non contrattare con la (forte) opposizione il candidato alla presidenza. Il rischio, altrimenti, è quello di un presidente reso di «parte», anziché di garanzia, dal modo della sua elezione, un presidente che non verrebbe mai sentito e accettato da metà del Paese, quella che ha votato per il centrodestra, come il presidente di tutti. Non sarebbe un fardello troppo pesante da portare per le istituzioni repubblicane e per lo stesso D'Alema? Il «carisma» della presidenza, così forte nel Paese durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi, era dovuto al convincimento diffuso nell'opinione pubblica che il presidente fosse un autentico garante. Oltre alle qualità personali di Ciampi anche il modo in cui venne eletto contribuì a creare il rapporto carismatico tra presidenza e opinione pubblica. Ci conviene che la presidenza perda quel suo elemento di forza?
C'è poi una seconda ragione la quale riguarda specificamente D'Alema. D'Alema è un capo politico a tutto tondo. È invalso da tempo l'uso di chiamare «leader» chiunque, o quasi, circoli per le stanze della politica. Ma i leader autentici sono sempre, in ogni Paese, e anche in Italia, pochissimi. E D'Alema è uno di loro. La domanda allora è: che ce ne facciamo di un leader politico alla presidenza di una Repubblica non presidenziale? In una siffatta Repubblica le qualità politiche necessarie al presidente sono altre. Non sto contrapponendo, banalmente, i «politici» ai «tecnici». Dico invece che le qualità politiche di un presidente della Repubblica in una democrazia parlamentare non possono essere le stesse che sono proprie di un leader politico. Tanto più nel caso in cui quel leader abbia ancora, per ragioni generazionali, una lunga carriera politica di fronte a sé.
È possibile contemporaneamente stimare D'Alema e ritenere la sua candidatura alla presidenza della Repubblica un grave errore? (Sì! N.d.b.)
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