05 maggio, 2006

Il Cavaliere spiazzato va in cerca di un outsider anti-Massimo4

Augusto Minzolini su La Stampa 4 Mag

I timori del centrodestra per il leader azzurri è impossibile dire "sì" ad un post-comunista
«Fini mi ha detto che là dentro c’è un D’Alema che si atteggia da Capo dello Stato. Non so se Gianfranco scherzava ma mi ha raccontato che, appunto, D’Alema ha quasi scommesso che martedì sera sarà Presidente». Carlo Giovanardi, ex-ministro dell’Udc parla nella hall dell’Hotel Excelsior, dove si svolge il ricevimento dell’ambasciata israeliana e dove va in scena la delusione del centro-destra per il “forfait” dato da Carlo Azeglio Ciampi all’ipotesi di uan sua rielezione. In quei saloni c’è un po’ tutta la nomenklatura del paese, quella di destra e quella di sinistra. C’è anche D’Alema il candidato che il centro-sinistra vorrebbe portare al Quirinale non con il «metodo Ciampi», cioè quello del dialogo con l’opposizione, ma con «il metodo dello schiaccianoci».

Ovviamente il personaggio quando esce dall’Excelsior non vuole essere considerato il candidato «in pectore» per il Quirinale («è una menzogna e chi lo dice è un calunniatore») ma a Giovanni Maria Flick che gli fa gli auguri con il tradizionale “in bocca al lupo” risponde con il consueto: «Crepi». E, intanto, dentro il ricevimento il centro-destra tenta di trovare un’altra strategia, un altro nome per contrastare l’ascesa di D’Alema. «Si potrebbe - osserva il dimissionario ministro delle Poste, Mario Landolfi - puntare su Franco Marini: potrebbe essere una candidatura che, come si dice, ”stura”. Ma a quanto pare lui non è disponibile». Mentre Fini vorrebbe gettare subito nella mischia il nome di Giuliano Amato, vorrebbe un vertice della maggioranza per farlo e, a mezza bocca, afferma che il ritorno di Silvio Berlusconi sul nome di Gianni Letta rischia, nella logica del muro contro muro, di aiutare D’Alema.
E arriviamo al Cavaliere. Un attimo dopo aver saputo della rinuncia di Ciampi il premier ha rilanciato la candidatura di Letta, del suo sottosegretario, del suo uomo ombra. Ma è una cortina fumogena in attesa della prossima mossa degli avversari. Il nome di D’Alema per lui è indigeribile: per non incontrarlo il Cavaliere ha aspettato addirittura che il presidente ds lasciasse il ricevimento dell’ambasciata israeliana e solo dopo è andato all’Excelsior. «Se questi pensano di tenere fuori da tutti gli incarichi istituzionali - si è sfogato - un centro-destra che raccoglie il 50,2% dei consensi e magari provano ad eleggere D’Alema, sono fuori di testa. Stanno creando un tale concentramento di potere che è pericoloso per la democrazia. Una vera dittatura della minoranza.
Purtroppo Ciampi ha rifiutato anche se in parte ce lo aspettavamo. Qualcuno dal Colle ci ha dato qualche speranza ma io, a differenza dei nostri alleati, sono stato sempre prudente: non so se si è tirato indietro perchè non se la sentiva; perchè lo hanno spinto a farlo quelli della sinistra; o, ancora, perchè non ha voluto assecondare il nostro appello. Comunque io non mi muovo dal no a D’Alema o a qualunque altro candidato della sinistra: in questi giorni mi hanno proposto di tutto, mi hanno fatto tante lusinghe, ma io non tradisco il mio popolo». Già, ieri sera nella sua mente il Cavaliere ha rivissuto le 24 ore in cui il Ciampi-bis è stato in ballo: il segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, che attraverso Gianni Letta faceva sapere che alla fine il Capo dello Stato avrebbe potuto anche dire di sì; oppure, Pier Ferdinando Casini che ancora un’ora e mezza prima del «no» di Ciampi era sicuro che l’inquilino del Colle avrebbe accettato la rielezione.
Invece, niente. Così Berlusconi ha cominciato a valutare la nuova situazione cercando di districarsi tra le mille «voci» che gli riportavano. Gli hanno riferito un frase del presidente Ds: «Temo solo una cosa, che mi gettino tra i piedi la candidatura Marini». Ma è una pista che per il momento non porta da nessuna parte: al Cavaliere, infatti, risulta che lo stato maggiore della Quercia si è già assicurato l’indisponibilità del neo-presidente del Senato a correre per il Quirinale. Berlusconi è anche consapevole che a questo punto della vicenda il massimo sostenitore della tesi della candidatura secca su D’Alema è diventato lo stesso Romano Prodi. «E’ ovvio - sostiene Adolfo Urso - che una presidenza della Repubblica D’Alema blinderebbe almeno per un paio d’anni Prodi». In più, per ridurre a più miti consigli Berlusconi, gli stessi “messi” della Quercia che nei giorni scorsi avevano ventilato la candidatura del presidente dei ds, hanno fatto sapere che se D’Alema fallisse, sarebbero pronte altre candidature post-comuniste da Giorgio Napolitano ad Anna Finocchiaro.
Nella logica che il peggio non muore mai. E il Cavaliere? Per ora prende tempo. Non può gettare sul piatto la candidatura di Amato perché al momento rischierebbe di bruciarla. Prima di prendere una decisione, vuole saggiare con quanta compattezza il centro-sinistra si muove su D’Alema e non esclude neppure - come ha confidato ieri sera ai suoi - di convergere su Marini, sempre che quello del presidente del Senato non sia un atteggiamento di pretattica democristiana. Ecco perchè è difficile, a questo punto, che il quadro cambi prima che nell’aula di Montecitorio si svolga la prima conta dei numeri in campo. E’ difficile, però, che il Cavaliere ritorni sui suoi passi sul «no» a D’Alema. Per lui è impossibile dire di «sì» ad un post-comunista al Quirinale dopo che Fausto Bertinotti è diventato l’inquilino di Montecitorio: «Il mio popolo - per usare le parole del Cavaliere - non lo comprenderebbe». Quindi, deve solo attendere gli eventi senza preoccuparsi.
In fondo a questo punto a poco da perdere: se D’Alema non ce la facesse, diventerebbe un problema ancor più grosso per il vertice dell’Unione e comunque si aprirebbero degli spazi per la candidatura Amato; se, invece, riuscisse nell’impresa dovrebbe essere proprio lui, il D’Alema eletto Capo dello Stato a corteggiarlo, non fosse altro per diventare il Presidente di tutti gli italiani. E intanto lui, Berlusconi, sul nuovo regime potrebbe lanciare una lunga campagna elettorale.