26 aprile, 2006

La strategia del tanto peggio

Federico Geremicca su La Stampa 26 Apr

Non c’è organismo monetario internazionale che, esaminando la situazione italiana, non ripeta un ritornello che le persone responsabili dovrebbero aver ormai mandato a memoria: il nostro Paese ha di fronte problemi economici seri e complessi, da affrontare con il massimo della celerità. Questo e non altro, per esser chiari, hanno ribadito in questi giorni tanto il Fondo monetario che la Bce. Ma mentre Romano Prodi, «premier entrante», sembra aver chiari - fino a prova contraria - il quadro pesante e la necessità di agire in fretta, Silvio Berlusconi, «premier uscente», pare perseguire l’unico obiettivo di tenere sulla corda il leader dell’Unione, ritardando il più possibile l’insediamento del nuovo governo.
Sarebbe ipocrita fingere scandalo di fronte al tentativo di una parte politica di lucrare sulle difficoltà dell’avversario: a parti invertite, in fondo, è quel che il centrosinistra ha fatto fino a un paio di settimane fa. Non è il caso di indignarsi, quindi, se l’unica strategia del Cavaliere sembra risiedere nella speranza che qualcosa a Prodi vada storto, puntando sul vantaggio d’immagine che potrebbe ricevere da nuove polemiche sull’assegnazione di questa o quella poltrona (la disputa tra D’Alema e Bertinotti docet). Eppure viene un momento - e si perdoni la retorica - in cui gli interessi di parte dovrebbero esser messi da un canto, a vantaggio del superiore interesse del Paese.
A quindici giorni dal voto e ad una settimana dalla proclamazione ufficiale dei risultati, Silvio Berlusconi non ha ancora riconosciuto la vittoria della coalizione che lo ha fronteggiato. Si tratta di una circostanza inedita e grave, ma sostanzialmente ininfluente: può confermare o modificare il giudizio di ognuno sul «premier uscente» (fa bene? fa male?) ma non certo influire sul corso delle cose. Diverso, invece, è il caso della tenace azione messa in campo per ritardare il più possibile la nascita del nuovo governo. Qui entra in gioco qualcosa di più serio dell’accesa rivalità tra due leader: ne va di mezzo, infatti, la tempestività di azioni di governo ritenute - in Italia e all’estero - decisive per il rilancio del Paese. E’ per questo che, senza andare troppo oltre, la strategia del leader della Casa delle libertà può esser serenamente definita irresponsabile.
Per questo è senz’altro un buon segnale la presa di distanze che gli alleati maggiori hanno marcato rispetto alla nota con la quale ieri Forza Italia ha contestato al capo dello Stato presunte accelerazioni circa i tempi di formazione del nuovo esecutivo: segnala, se non altro, che non tutti hanno smarrito senso di responsabilità e lume della ragione. Forse di più: potrebbe essere la spia del fatto che anche nel centrodestra finalmente maturano preoccupazioni per un vuoto di potere che rischia di produrre danni e per un clima politico da raffreddare rapidamente (come auspicato nuovamente ieri dal presidente Ciampi) in funzione di una qualche forma di dialogo. Del resto, sono situazioni così - in cui le differenze si trasformano in odio, e l’odio in violenza - a favorire episodi vergognosi, come quello andato in scena ieri a Milano: dove la signora Letizia Moratti è stata insultata e di fatto espulsa dal corteo del 25 aprile mentre spingeva la carrozzella sulla quale sedeva il papà, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti. La colpa della Moratti? Essere ministro di Silvio Berlusconi. Inaccettabile. E la conferma che la barbarie, come si vede, è ormai lontana solo un passo...