23 aprile, 2006

«Caro Prodi è la soluzione sbagliata»

De Mita su Il Mattino 23 Apr

Non gli piace come è stata gestita la vicenda della presidenza della Camera. Per il Quirinale reputa di attualità il metodo che ha ancora il suo nome e che portò, con larga maggioranza, all’elezione di Cossiga. Sulla formazione del governo dà qualche «suggerimento» a Prodi, ma per quanto lo riguarda smorza le voci su una possibile destinazione al ministero delle Riforme. L’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita dice di preferire, nella Margherita e nell’Ulivo, il ruolo consueto di chi «aiuta a far riflettere».

Onorevole De Mita, come giudica il passo indietro di D’Alema e il via libera a Bertinotti per la presidenza della Camera?
«Credo che quando un problema si risolve, e ne crea altri, non è una buona soluzione. Mi pare che stavolta sia così: scandalizzarsi perchè all’interno di una coalizione esistono potenziali opzioni diverse significa non rendersi conto che la realtà è questa, in una coalizione. Ma i contrasti vanno prevenuti, le decisioni preparate, le soluzioni motivate. Temo che quando i problemi si risolvono quasi per incanto più che una soluzione rischiano di contenere una difficoltà. Voglio augurarmi che non sia così, vorrei sperare che non sia così».

Ha intravisto nella vicenda un’indecisione di Prodi, che ora ringrazia D’Alema? Lei teme forse una reazione a catena?
«Non giudico, rifletto ad alta voce. Sono un osservatore». Bertinotti alla Camera è Rifondazione alla Camera. Una novità epocale. «Nei confronti di Bertinotti ho simpatia, mi auguro che viva la funzione con la sua intelligenza e la sua responsabilità. Ma mi verrebbe da osservare che un contributo alla coesione della coalizione non credo possa essere dato dal condizionamento di una Camera che si guida, quanto da una funzione che si svolge. E guidare un gruppo come quello di Rifondazione probabilmente sarebbe stato un contributo alla coalizione, da parte sua, molto più efficace».

E D’Alema? E il dibattito su una sorta di «soluzione risarcitoria», magari al governo?
«A D’Alema si attribuiscono tanti difetti. Io, invece, vorrei sottolineare due suoi gesti, non di responsabilità ma di grande intelligenza politica. Di quando s’è dimesso da presidente del Consiglio e di adesso, che rinuncia ad un’aspirazione non solo legittima per le qualità della persona ma in rappresentanza della maggiore forza della coalizione. E se si immagina di andare avanti per compensazioni quantitative all’inizio c’è l’illusione che il mercanteggiamento sia una risorsa per risolvere i problemi. Invece è un percorso che, presto o tardi, incrocia difficoltà insormontabili. Le coalizioni vivono, ed hanno lunga durata, quando la mediazione non fa riferimento a questa logica».

Come valuta l’accordo su gruppi unici dell’Ulivo, al Senato oltre che alla Camera? «Io li vedo nella logica di rafforzamento del potere della coalizione. Sarebbe un errore immaginarli come luogo che anticipa un processo di ristrutturazione delle forze politiche, ritengo che possano essere soprattutto uno strumento di concorso alla creazione di coesione nell’alleanza. Perchè dobbiamo svolgere una sola funzione: far crescere la coesione a sostegno del governo, sperando che l’attività governativa sia tale da incrociare la solidarietà e l’unitarietà dei gruppi parlamentari. Le due cose sono interdipendenti: difficile sostenere qualcosa di cui non si è convinti ed è difficile convincere senza porre in essere atti persuasivi».

Scelta per il Quirinale. Siamo lontani da un’ipotesi di soluzione.
«Esiste il ”metodo De Mita”, tanto vituperato ma tanto invocato. Non è un modo per accontentare qualcuno, ma fa riferimento ad un’istituzione che è garanzia dell’unità e dell’ordine costituzionale del Paese. Il capo dello Stato non è il capo della maggioranza, va scelto con una maggioranza ampia e condivisa, rifuggendo l’ipotesi residuale prevista dai costituzionalisti della maggioranza alla quarta votazione. Un’investitura larga dà infatti autorevolezza a chi è eletto. E lo impegna, non nei confronti della maggioranza ma dell’unità del Paese».

Il dibattito sul partito democratico va avanti a grandi passi. Quali sono le sue previsioni?
«Se dovessimo dire solo ”sì” o ”no” qualsiasi risposta sarebbe sbagliata. É un processo da costruire a fronte della frammentazione delle forze politiche. Vedo che ci si pone il problema della risposta a una domanda di unità e non a questioni di organigrammi. Bene. Non si può dire di «no» alla partecipazione ad un discorso così. Il rischio è quello di diventare la stessa cosa? No, diventeremmo più solidali e più diversi, a patto di salvaguardare l’autonomia sul piano della proposta. Intanto preoccupiamoci di perseguire ampia solidarietà intorno al governo. Se la maggioranza nel centrosinistra cresce, la coesione nella Casa delle Libertà diminuisce. E rischiano di perdere qualche pezzo per strada».

Appunto, il governo. Da ex presidente del Consiglio ha ”indicazioni” per Prodi? «Come per tutte le scelte, il negoziato è necessario e probabilmente utile per capire. Ma la forza delle decisioni non sta nella spartizione quanto nel risultato che si consegue. La compagine di governo deve essere di alta qualità e coesa, il ruolo del presidente del Consiglio sul piano dell’autonomia delle scelte ha questa ragione. Nessun presidente può ignorare di dare rappresentanza alle forze che hanno contribuito a far crescere la coalizione. Non è un sofisma: il problema non è l’autorevolezza astratta ma mettere insieme la rappresentanza politica e la forza della coalizione, il recupero delle qualità personali nel ruolo di direzione dei ministeri ma anche la capacità di rappresentanza politica nelle istituzioni».

De Mita al ministero delle Riforme. Una voce più o meno concreta? Un’aspirazione? Una speranza?
«Da quando ho lasciato la presidenza del Consiglio nella mia testa è scomparsa l’aspirazione a partecipare ad organi esecutivi. Mi rimane, se il Padreterno vorrà, l’ambizione di riflettere e di concorrere a far riflettere. Perchè, checché se ne dica di questi tempi, in politica la cosa più concreta resta il pensiero».