12 aprile, 2006

D'Alema: "Sì, è vero, ci siamo svenati per creare la nuova forza"

Massimo Giannini su Repubblica.it 12 Apr 06

Il presidente dei Ds: ci siamo messi al servizio di un grande progetto di cambiamento dell'Italia.
D'Alema: non sfondiamo, ma l'obiettivo è centrato.
Come il vecchio Pci all'inizio degli Anni Settanta, prima dello storico sorpasso sulla Dc, solo sfiorato nel 1976. "Un partito in mezzo al guado", si rinfacciava allora alla sfinge berlingueriana. Trent'anni dopo, questo sembrano ancora i Ds: un partito in mezzo al guado. "È vero e non lo nego - mastica un po' amaro Massimo D'Alema - ci aspettavamo di più da queste elezioni...". Doveva essere la locomotiva dell'Unione, in marcia trionfale sul Polo. E invece la Quercia è rimasta quasi ferma alla stazione. Nel 2001 prese il 16,6%, poco più di 5 milioni e mezzo di elettori: è il minimo storico della segreteria Veltroni. Oggi si scuote appena al 17,5%, 5 milioni 977 mila voti al Senato: è il marginale miglioramento della segreteria Fassino.
Cinquecentomila voti in più in cinque anni. Non è granché, per il partito che nel 1996 raggiunse il 21,1% (più di 8 milioni di voti) e che anche stavolta puntava a bissare quel successo e a scavalcare Forza Italia. Il presidente diessino se ne sta rinchiuso nel suo ufficio romano, a scorrere tabelle, a fare raffronti e a darsi spiegazioni. "Non abbiamo sfondato - dice - e il motivo è molto semplice. In questi anni ci siamo svenati per sostenere l'alleanza, abbiamo retto l'urto delle polemiche, interne e ed esterne. Siamo stati il partito più coalizionale dell'intero centrosinistra. Ci siamo messi al servizio di un grande progetto di cambiamento della politica italiana: la lista unitaria e il partito democratico. Purtroppo paghiamo i ritardi di questo progetto...". Come dire: gli elettori diessini hanno donato il sangue, cedendo pezzi di dna politico, ma in questi anni non hanno visto crescere il frutto speculare di questa cessione identitaria. A voler usare un linguaggio da economisti: nell'operazione non c'è stato un trade-off. Io dò, ma in cambio cosa prendo?
Detto questo, D'Alema non si iscrive alla lista dei depressi. "Se consideriamo il risultato nel suo insieme - osserva - abbiamo ottenuto un obiettivo straordinario. L'ho detto e lo confermo: il centrosinistra ha preso una quantità di voti che non aveva mai ottenuto nella storia repubblicana. Se prima del 9 aprile mi avessero detto: vi voteranno 20 milioni di italiani, sarei scoppiato a ridere. Quindi, riflettiamo pure, ma non esageriamo con l'autoflagellazione. Noi, queste elezioni, le abbiamo comunque vinte...".
C'è una parte di vero, nelle parole di D'Alema. La coalizione ha compiuto comunque un cospicuo passo avanti. Secondo le prime simulazioni dell'Istituto Cattaneo, rispetto al 2001 l'Unione nel suo insieme ha ottenuto 1 milione 600 mila voti in più (pari al 9,4%), mentre la Cdl è cresciuta solo di 390 mila voti (appena il 2,1% in più). Ma tutto questo non basta: il centrosinistra rivince in Parlamento, ma non è ancora maggioranza schiacciante nel Paese. Oggi come nel 1996, D'Alema torna al suo "discorso di Gargonza", che gli valse la prima accusa di congiurato contro Prodi, ma che resta il nervo scoperto della sinistra italiana. Oggi come allora, la vittoria "non è il risultato di una completa inversione dei rapporti di forza presenti nel Paese". Oggi come allora, il voto segna "una vittoria del centrosinistra sul terreno della politica, ma non nella società civile".
E se si ragiona in termini di blocchi sociali, è proprio la Quercia il partito che soffre di più. La Margherita è andata male, ma agisce per definizione e per vocazione su un terreno di frontiera. La sinistra antagonista si è rafforzata, radicandosi ancora di più nei ceti della sua rappresentanza tradizionale. I Ds, come confermano le analisi di Roberto D'Alimonte e come evidenzia il voto dell'altro ieri, sono geograficamente sempre più incardinati nell'Italia rossa (Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Liguria) e sono socialmente sempre più concentrati "all'interno del loro bacino elettorale tradizionale", ma senza riuscire a valicarlo. In poche parole: non sfondano al Nord, e non stimolano interessi di gruppi sociali che invece continuano a riconoscersi nel Polo. "Il fatto - spiega D'Alema - è che loro sono la destra, e buona parte del Paese è ancora aggrappato a una certa idea della destra. Berlusconi, in questo, ha colpito un'altra volta nel segno: li ha impauriti sulle tasse, li ha impauriti sul comunismo. Può sembrare assurdo, ma sono e restano temi sensibili per centinaia di migliaia di nostri connazionali".
Criminalizzarli sarebbe sciocco. È un vizio che la sinistra, per snobismo o per settarismo, ha già conosciuto. Cercare di capirli e di intercettarli con un altro linguaggio sarebbe doveroso. In che modo? "È inutile che lo neghiamo - premette il presidente Ds - il Paese è davvero spaccato a metà. Sono in campo due Italie, ma io non mi rassegno a vederle per forza contrapposte e impermeabili". Ma il modo per abbattere la barriera non è la Grande Coalizione, o l'ammucchiata o l'inciucio. Su questo D'Alema vede il rischio, ma è netto nel rifiutarlo: "Obiettivamente - osserva - l'esito del voto dà filo da tessere a quelli che lavorano a scenari consociativi di vario tipo. Io sono per respingerli, senza nessuna esitazione". Parzialmente diverso è il discorso sulla possibilità di offrire al centrodestra la presidenza di un ramo delle Camere: "In teoria si potrebbe anche fare. Ma tutto è legato all'atteggiamento di Berlusconi. Certo, se pur avendo perso il governo continua a prenderci a sportellate... Sarebbe tutto diverso se lui facesse come Kerry, e cioè riconoscesse la piena legittimità della nostra vittoria. Ma finché non si verifica questa pre-condizione, ci manca pure che gli andiamo a offrire una poltrona...".
E allora? Qual è in questo anomalo sistema bipolare il modo per "conquistare almeno una parte di quell'elettorato moderato e di opinione che non è spinto a votare la sinistra né per ragioni ideali né per interessi sociali"? Come si "conquista il centro", per parafrasare la formula togliattiana del discorso su "ceti sociali e Emilia rossa" del '46? D'Alema ne vede uno solo: "Se noi vogliamo davvero parlare anche a quell'altro pezzo di Italia che pur non credendo più a Berlusconi ha deciso comunque di non fidarsi di noi, abbiamo un solo strumento. E quello strumento si chiama partito democratico. Dobbiamo agire, subito, con i gruppi unici in Parlamento. Dobbiamo dare un segnale immediato".
Il partito democratico è la sola prospettiva politica in grado di modernizzare il sistema. E anche di far cambiare natura di questo centrosinistra, ancorandolo a una politica riformista che neutralizza e bilancia le spinte più estreme. Un dato lo dimostra: alla Camera, dove la lista unitaria c'era e ha preso il 31,2%, Rifondazione ha ottenuto "solo" il 5,8%. Al Senato, dove la Ds e Margherita erano divisi e la loro somma fa solo il 28,2%, Rifondazione accresce sensibilmente il suo peso fino al 7,4%. "Ma vi rendete conto che se abbiamo vinto queste elezioni - aggiunge D'Alema - è solo perché abbiamo presentato la lista unitaria alla Camera? E vi rendete conto che se l'avessimo presentata anche al Senato avremmo recuperato il Lazio e avremmo vinto con un margine ampio anche a Palazzo Madama?".
Anche sul partito riformista o democratico, il centrosinistra in questi cinque anni ha molto da farsi rimproverare. Troppi ritardi, troppi egoismi. Torna il mancato trade-off: i Ds hanno pagato anche questi. "Ma non ditelo a me - si indigna il presidente - che per il partito unico mi batto come un leone da più di tre anni. Spesso anche da solo, come mi successe quando Prodi voleva presentare il listone alle europee, e io fui il primo a dirgli "hai ragione, ti sostengo". Altri hanno esitato, altri hanno frenato...". Il presidente diessino non lo vuol dire. Non vuole riaprire conflitti con la minoranza interna della sua parte politica, o meno che mai con Francesco Rutelli. Con questi chiari di luna, sono lontani i tempi in cui nel quartier generale dalemiano si sentiva dire con il consueto sarcasmo "aspettiamo di raccogliere la scatola nera della Margherita dopo il 9 aprile".
Mai come adesso, è il momento di far prevalere le ragioni della coesione. La maggioranza c'è, ma è appesa a un filo. "Eppure, siamo in una situazione che mi spinge a dire: ex malo bonum. Da questo esito così complesso del voto, può nascere una scossa per tutto il centrosinistra. Per noi riformisti, verso il partito democratico. Per tutti, verso l'assunzione di un grande senso di responsabilità. Da Bertinotti a Pecoraro, da Diliberto a Pannella, tutti sanno e capiscono che il sentiero sarà strettissimo. Questo, magari, servirà a rafforzare il vincolo di coalizione". È solo una speranza. Andrà misurata nel fuoco della battaglia quotidiana. Ma non c'è molto altro a cui aggrapparsi. D'Alema, comunque, ci crede. E si prepara a giocare la partita. Anche quella personale. Sul Quirinale vede con favore un'onda lunga che cresce intorno all'ipotesi di un Ciampi-bis: "Il delicato equilibrio uscito dalle urne, oggettivamente, rafforza una sua ricandidatura...". Sulla presidenza della Camera sente arrivare un'investitura imminente: "Non so nulla, non chiedo nulla. Ma se mi chiamano, sono pronto".