Ciampi irritato per la mossa del premier
Marzio Breda su Corriere.it 13 aprile 2006
Il Cavaliere si sarebbe spinto a ventilare l'ipotesi di un decreto-legge
Il capo dello Stato ha ascoltato la contestazione di Berlusconi sbigottito: è l'opposto della «ripresa del dialogo»
Una giornata cominciata male e finita peggio, per Ciampi. Molto peggio di quanto potesse mai immaginare. Con Berlusconi che contesta la sua certificazione della «regolarità del voto» (certificazione maturata dopo contatti con il ministro degli Interni) e che materializza l'incubo di brogli, «tanti brogli unidirezionali» a vantaggio del centrosinistra. E che arriva a chiedere il riesame dei verbali di sessantamila sezioni, oltre un milione di schede. Una sfida pesantissima che, oltre a mettere in dubbio il risultato delle urne, rischia di avvelenare a morte un mondo politico già da mesi con la bava alla bocca. Una prova di forza che il presidente della Repubblica ascolta sbigottito fin quasi all'afasia, perché è un genere di contestazione che getta un'ombra cupissima sulla stessa credibilità democratica del Paese. Proprio l'opposto della «reciproca legittimazione» e della «ripresa del dialogo» che dal Quirinale continua a esortare con uno sforzo ormai inutile.
Di più: secondo fonti di governo, il Cavaliere si sarebbe spinto a ventilare l'ipotesi di un decreto-legge, che Ciampi dovrebbe avallare, per consentire la verifica straordinaria, voto per voto. Non si sa quale sia stata la risposta del capo dello Stato a una simile, fantomatica, pretesa. Anche perché esistono comunque degli organi preposti a questo genere di controlli. Vale a dire, oltre alla magistratura, la Giunta parlamentare per la validazione degli eletti, che sarà però operativa solo con l'insediamento delle nuove Camere. Ecco la via ordinaria, la sola che Ciampi avrebbe davvero indicato al premier uscente come percorribile. Chiudendo il discorso piuttosto bruscamente.
Insomma: un mercoledì nero, sul Colle. Cominciato con un pressing su giornali e tv, dove qualche giurista gli spiega che «nessuno capirebbe una stasi di almeno 40 giorni» prima che si formi un governo. Dove gli si obietta che «non ha senso perdere quasi due mesi lasciando il Paese allo sbando». Dove gli si dice addirittura che «sarebbe molto scorretto» se non fosse conferito con urgenza l'incarico a Prodi. E' dunque strattonato da tante parti, non sempre con riguardo, il presidente. Così, comincia la giornata affidando alle agenzie di stampa una nota puntigliosa e infastidita. Nella quale spiega che il percorso per vedere l'investitura di un nuovo premier sarà «inevitabilmente lungo», «costituzionalmente obbligato» da «scadenze e scansioni temporali imprescindibili». Non basta: precisa che i vincoli di prassi e procedure erano «ben noti» al Quirinale, anzi ne erano stati dati ripetuti avvertimenti fin dall'autunno. E' questa l'aria che tira, quando a metà mattina Romano Prodi entra nello studio del capo dello Stato.
Il leader del centrosinistra ha l'ansia di mettersi all'opera. Sa già che Ciampi intende passare la mano al proprio successore, per quanto riguarda il primo esecutivo dell'undicesima legislatura. Eppure non rinuncia a qualche tentativo per evitare che Berlusconi rimanga fino a giugno in stand by a Palazzo Chigi. Non gli propone una corsa contro il tempo, ma si dichiara fiducioso che certi passaggi potrebbero essere accelerati. L'insediamento delle Assemblee, con relativi adempimenti, potrebbe essere chiuso entro il 5 maggio. Ciò che aprirebbe una «finestra» temporale sufficiente a un incarico rapido. Ancora (ma questa è una ricostruzione forse interessata, prima veicolata e poi smentita dallo stesso Prodi), parrebbe che abbia ipotizzato di anticipare di qualche giorno l'avvio del voto per il nuovo capo dello Stato, passando dal 13 maggio previsto al 7 - 8, e magari di far convergere subito le preferenze sul suo nome per un bis. Nessuna esplicita offerta di ricandidatura, solo una mezza avance — condita da un «ti trovo in forma, sei un giovanotto» — che Ciampi avrebbe lasciato cadere.
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