11 aprile, 2006

L'incrollabile

Augusto Minzolini su La Stampa web 11/4/2006

Berlusconi: «Non hanno vinto si deve tornare subito a votare»
Letta per il governo istituzionale. Cesa: Silvio al Quirinale

L’ultima scena di una giornata vissuta sul filo dell’infarto avviene al ristorante «I due ladroni» dove il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, tesse nientepopodimeno che le lodi di Silvio Berlusconi. «E’ un grande. A quest’ora non so se vinceremo oppure no, ma nell’ipotesi migliore, cioè che ce la facciamo, dovremmo mandarlo al Quirinale. E spero che lui accetti. A questo punto, lo ammetto, e io e Casini ce lo siamo anche detto, forse sarebbe stato meglio modificare la “par condicio”. Purtroppo Marco (Follini, ndr) è fatto così. Pensa che l’Italia sia quella dei giornali. Alle 8 del mattino ha già letto i fondi di tutti i giornali. Io, invece, aspetto le 11. Ma forse non li leggo neppure...».
Già, solo queste dichiarazioni degli irrequieti alleati dovrebbero far piacere al Cavaliere. A quell’ora è successo di tutto. Il centro-destra ha perso la Campania ma ha vinto al Senato grazie al risultato (colmo dei colmi) ottenuto nella rossa Emilia Romagna. La Camera è ancora in bilico ma il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, è sicuro che alla fine la Cdl avrà 200 mila voti di più. Sarà. Ma tenendo conto che 24 ore prima mezzo mondo, anche i bookmakers inglesi, assegnavano al centrodestra una sconfitta catastrofica, il Cavaliere non può non essere soddisfatto. Ma che fatica.
Alle 14 di domenica scorsa era sicuro di vincere. Con la parlamentare di An, Daniela Santanchè, Silvio Berlusconi era stato perfino netto: «Vinciamo di sicuro». La sera di domenica la sua convinzione si era un po’ ridotta tant’è che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, vestiti i panni del «menagramo», aveva confidato all’ex presidente della Regione Piemonte, Enzo Ghigo: «Non ci sono buone notizie». L’altalena è ricominciata ieri mattina per colpa delle indiscrezioni degli exit poll della Nexus che pur essendo riservati sono circolati nei Palazzi con l’ufficialità della Gazzetta Ufficiale.
Ma in questo caso, il premier ha tenuto duro, non si è fatto influenzare, semmai è stato attento ai dati dell’affluenza alle urne: «Io a quegli exit poll non credo. Sono fasulli. Continuo a pensare - ha spiegato - che se più dell’83% degli italiani andrà a votare, vinceremo». Poi, ad un certo punto del pomeriggio, intorno alle 17, il premier si è sbilanciato, confortato dai dati dei sondaggisti americani, gli unici di cui si fida insieme a quelli della sua sondaggista preferita, Alessandra Ghisleri. E anche se la «nuova» era buona ha avuto un mezzo sfogo con i suoi collaboratori: «Gli americani mi dicono che ho vinto. Io non lo so. Aspetto lo scrutinio finale. Solo che a questo punto mi viene da pensare che i sondaggisti italiani, dal punto di vista intellettuale, sono davvero un’associazione a delinquere. Non so chi vincerà ma se si paragonano i sondaggi, gli exit poll e le proiezioni, emerge fin d’ora un dato: loro non conoscono la realtà di questo Paese. Prima di parlare aspettiamo di vedere come andrà a finire avendo, però, bene in testa un’opzione strategica: se vinciamo al Senato e alla Camera vincono loro, o viceversa, si deve tornare a votare. Il Paese deve avere una maggioranza omogenea in entrambe le Camere».

In serata, poi, è tornata la tensione, provocata da quel dato del Senato per la Campania, che fino all’ultimo è rimasto incerto. Quella di ieri per il Cavaliere è stata una giornata mozzafiato. Meno male che negli ultimi giorni il premier si era sottoposto ad una visita di controllo e che non è mai stato debole di cuore.
Per 24 ore le notizie si sono rincorse provocando un susseguirsi di colpi di scena. E il premier non si è per nulla risparmiato. Quando il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu gli ha comunicato il dato dell’affluenza ha deciso all’improvviso di volare a Roma, prendendo in contropiede anche i suoi collaboratori. Si è chiuso a via del Plebiscito e da lì ha controllato minuto per minuto lo scrutinio. E a seconda dei momenti si è lasciato andare ad una serie di congetture. «Se perdiamo - ha detto ad un certo punto - i radicali risulteranno determinanti per la nostra sconfitta. Su questo non ci sono dubbi.
E forse ho sbagliato a non dedicarmi con più attenzione al problema di un’alleanza con loro. Voi, però sapete che avevo contro l’Udc, mentre non sapete che Letta mi ha portato una serie di ambasciate d’Oltretevere da cui si arguiva che da quelle parti un’alleanza del genere non sarebbe stata gradita
». Nei momenti in cui, invece, la vittoria sembrava a portata di mano il premier non ha mancato di dare importanza al voto cattolico. «Se vinciamo - ha spiegato agli uomini del suo staff - avrà avuto un peso rilevante. La vicenda dei crocifissi tolti dai seggi da quell’esponente di Rifondazione, secondo me, ha avuto un’eco non indifferente nell’opinione pubblica. Non possiamo dimenticare che il cattolicesimo è un tratto essenziale dell’identità di questo Paese».
Infine un’ultima riflessione in libertà il Cavaliere l’ha dedicata ad un altro punto del suo «cahier de doléances»: «I sondaggisti sono stati serviti, ma anche i giornali dimostrano di non capire l’Italia. Eppoi gli editori si meravigliano perché vendono poco...». Tanti discorsi, insomma, che Berlusconi ha gettato là per trascorrere il tempo con lo staff e i principali esponenti del partito, ma con l’attenzione tutta rivolta all’andamento dello scrutinio. Uno scrutinio seguito sposando questo o quel dato con una serie di riflessioni. Mentre Giulio Tremonti dalle 19 in poi ha cominciato a scommettere sulla vittoria della Cdl al Senato, il Cavaliere, almeno in pubblico, davanti ai suoi, si è limitato ad una constatazione: «Chiunque vinca le elezioni - ha fatto presente - noi abbiamo avuto un grande risultato: Forza Italia continua ad essere il primo partito italiano. E non è poco specie se si tiene conto che siamo passati dal sistema maggioritario a quello proporzionale. E’ un dato che inorgoglisce anche perché in alcune aree del Paese siamo tornati ai tempi d’oro».

La serata è andata avanti così tra un dato e l’altro. Fino a quando intorno alle 20 il premier ha deciso di non parlare più. Di attendere in silenzio, magari per scaramanzia, il risultato finale del voto. Ai suoi (Scajola, Cicchitto, Bondi) ha dato solo poche indicazioni infischiandosene di chi nel suo partito (vedi Letta) invocava il governo tecnico: «State calmi. Non vi sbilanciate. L’unica cosa che i nostri avversari debbono sapere è che per governare debbono conquistarsi la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento altrimenti si torna a votare». Un discorso chiaro che Carlo Vizzini uscendo fuori da via del Plebiscito ha tradotto con un luogo comune della politica: «Il Cavaliere è sereno».